domenica 15 luglio 2012

Il grande imbroglio perché niente cambi

i grandi giornalisti  pare abbiano questo dono: fotografare in un'istananea il vero stato del momento del proprio paese. e rapprentarlo con rara efficacia evidente anche sintetica.

Dato a Piero Ostellino quel che risulta sia di Ostellino giornalista, confidiamo che ci consenta di riproporre pari pari la sua nota apparsa in data odierna sul Corriere della Sera, pag. 33, nella sua rubrica il dubbio. E senza aggiungervi altro che già pare basti.

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Chi osa criticare è un <<disfattista>>

<< Taci, lo spraed ti ascolta>> ( la polemica con il presidente di Confindustria). <<Sarà una guerra durissima>> (a giustificazione della propria politica e dell'assenza di crescita). Monti sa che drammatizzare è la sola fonte di legittimazione del suo governo. 
La crisi è un fatto; lui ne parla volentieri; ma non spiega perché - a causa della sua fallimentare politica economica - lo spread navighi verso i 500 punti, il pil chiuda quest'anno a meno 2,4 (bene che vada), i consumi siano crollati, persino il gettito fiscale cali, la Bce invochi invano la crescita. Si limita a facilitare la diffusione della convinzione che chi lo dice <<indebolisce il governo>>. Denunciare un <<nemico>> esterno, il destino <<cinico e baro>>, è una tecnica che i governi politici adottano per giustificare i propri fallimenti davanti al loro elettorato. Far passare la critica per <<disfattismo>>, <<sabotaggio>> della patria, non dovrebbe essere il bagaglio giustificazionista di un governo tecnico dal quale ci si aspetterebbe, con maggiore competenza, anche maggiore chiarezza. La democrazia è dialettica, concorrenza, competizione, persino conflitto.

Certo professore, fare della <<sospensione>> della democrazia ciò che la democrazia è - <<il plebiscito di tutti i giorni>> - non fa onore né alla sua personale onestà intellettuale, né al suo governo, affidandosi (solo) a operazioni di marketing mediatico lei nasconde la crisi sotto il tappeto del conformismo nazionale, ma non i problemi del Paese.

La spending rewiew avrebbe senso se il sistema funzionasse. Ma dove l'esorbitante numero di impiegati pubblici non ha la funzione di produrre (maggiori o migliori) servizi, ma quella di collocare manodopera a spese dello Stato, è fumo negli occhi.

Il ministro dell'Istruzione non rassicura nessuno, tranne gli interessati, quando dice di non voler ridurre il numero dei bidelli. Come dipendenti dello Stato sarebbero da eliminare del tutto! Un contratto in outsourcing con un'azienda privata costerebbe meno.


Amico mio, riduca la presenza pubblica nella produzione di beni collettivi; liberi gli italiani dall'eccesso di regolamenti, divieti, burocrazia. Verrà la crescita che lei si illude di produrre per decreto.

Ci vuole coraggio a mettersi contro i sindacati del pubblico impiego e il partito della spesa (Cgil e Confindustria, Pubblica amministrazione, economia sussidiata); bisogna dar prova di cultura liberale e di capacità di leadership. Se ne ha, le tiri fuori.


Non si limiti a fare da megafono al (giusto) rigore della signora Merkel e a farsi condurre per mano da Napolitano. Se no, lei ne esce male e, soprattutto,  certe tragedie del passato - si veda la conferenza di Joseph Schumpter dell'ottobre 1908 (Passato e futuro delle scienze sociali>>, ed. liberilibri) - rischiano di riprodursi oggi in farsa. " "

(di Pietro Ostellino, ne "Il dubbio", su Corriere della Sera  del 14 luglio 2012 pag. 53.


Che splendida foto istantanea di un Paese allo sbando perchè la sua Rendita parassita non vuole arrendersi al cambio di Progetto, e si rifugia tra coperture mediatiche amiche ed intimidazione al dissenso sul proprio operato sotto la <guida> coerente del momento.

Si ringrazia Pietro Ostellino della sua nota e dell'aiuto fornito alla nostra migliore comprensione dei fatti che ci accadono attorno.



p.s. Le evidenziazioni in grasetto e gli stacchi di cui sopra sono del blog che riprende la nota di Piero Ostellino; l'originale scorre in corsivo interamente, anche se si giova della impaginazione e richiami propri del giornale in cui si colloca: appunto, Il Corriere della Sera.