Ci eravamo lasciati, sul finire
dell’anno trascorso, osservando anche da qui l’andamento di quella
interminabile, ormai decennale, Guerra divenuta nota ovunque come guerra di
Troia.
Eravamo oramai infatti giunti ad
osservare, e prossimi al febbraio dello stesso anno, quando l’altalenante
andamento dell’interminabile guerra tra i due irriducibili fronti contrapposti,
ebbe un sussulto.
Achille infatti, che per mesi se
ne era stato ad oziare nella propria tenda così concedendo ampio vantaggio agli
assediati tanto da averci loro fatto quasi un pensiero di vincere la guerra,
improvvisamente decise che bastava, di oziare, e si rilanciò colmo d’ira, di
nuovo e di persona dentro la mischia.
Per i troiani furono subito
dolori, a rivedere in campo ancora una volta il temibile Pelide.
Non riuscirono più a portare a casa, infatti, una vittoria sul campo. Che anzi, le schiere assedianti, rincuorate dal ritorno in campo del loro campione di sempre, passavano adesso di successo in successo sul terreno dello scontro. Achille per parte sua faceva infatti ormai quasi tutto da solo. Attaccava ovunque tutte le schiere avversarie falciandole sul campo come grano.
E, afflitti da perdite sempre più
crescenti e rovinose tra le proprie schiere, i Troiani ormai se ne stavano
rinserrati entro le proprie mura coltivando tra loro anche qualche previsione
infausta sul loro stesso futuro.
Del resto, che quella guerra
decennale fosse dominata soprattutto dall’umore e dalla presenza del Pelide
Achille, lo avrebbe già ben mostrato chi doveva poi cantare le gesta
dell’infinita disfida sotto le mura.
Così infatti avrebbe iniziato il suo racconto epico l’autore:
Cantami o diva, del Pelide Achille
L’ira funesta … (…)
Intanto le due schiere avverse si
osservavano ciascuna dalla propria posizione. I troiani oramai rinchiusi
stabilmente entro le mura avevano perso ogni capacità d’iniziativa
sull’esterno. I greci assedianti, assediavano si, ma senza riuscire a fare un
passo avanti decisivo a travolgere l’ultima altrui difesa.
Poi, accadde un fatto imprevisto,
della serie <quando gli dei confondono gli umani che vogliono perdere>.
Achille ebbe una pensata da lui ritenuta decisiva. Sfidò Ettore, capo e campione allora dei troiani assediati, a regolare quella interminabile disfida tra le rispettive genti con un duello uno contro uno sotto le mura della stessa città assediata. Achille contro Ettore e nessun altro loro attorno.
A molti dei troiani accettare
quella proposta sembrò da subito più o meno una idiozia.
Per quanto il loro Ettore fosse un campione, lo scontro diretto con Achille non lasciava presagire niente di buono. Achille era troppo superiore al campione troiano, e in più era protetto da un incantesimo che lo rendeva anche invulnerabile sul corpo.
Ma Ettore oramai non ascoltava
più nessuno dei propri stessi consiglieri e amici. L’idea di un duello a due
che risolvesse così quella interminabile guerra lo tentava sempre più. Inoltre
sentiva quasi un suo dovere, quale capo delle armate troiane, di non lasciar
cadere quella sfida estrema tra di loro: uno contro uno.
Ci si misero anche gli astrologi
e i sommi sacerdoti a dirgli inutilmente di non farlo. Di non accettate quello
sfavorevole impari duello.
Ettore non sentiva però oramai più ragioni, e continuava a ripetere a chi lo sconsigliava. Vado, lo smacchio, e torno…Vincitore.
Non c’era verso di dissuaderlo da
quel suo radicato convincimento. Non lo
poterono gli amici. Non lo poté né la sua stessa coniuge che lo invitava
infatti di non farlo. Non lo poté neanche il vecchio re Priamo il quale
continuava inutilmente a ripetigli che era una idea balzana accettare quello
scontro. Niente da fare.
Niente da fare per chiunque ci
provasse tra gli stessi troiani.
Le porte della città si aprirono;
ed Ettore uscì dalle mura della città per accettare il duello diretto a cui lo
aveva sfidato Achille.
E furono elezioni anticipate,
pare fosse nel febbraio di questo stesso anno, che avrebbero deciso la sorte di
entrambi in un colpo solo.
Come finì, tutti lo conoscono tra quanti hanno poi potuto leggerne il racconto epico anche di quel duello.
Ettore ci lasciò le penne nelle
elezioni anticipate contro Achille; e cadde sul campo stesso del duello.
Quanto ad Achille rinunciò a fare
anche scempio dello sconfitto solo perché il vecchio re Priamo in persona scese
dal Colle più alto, e convinse Achille di rendergli il corpo di Ettore
sconfitto e promettendogli anche tante cose in cambio di una tregua. Se
l’avesse fatto. E pare che andò poi proprio così.
La guerra senza fine riprese però
quasi subito dopo e con rinnovato furore reciproco. Battaglie su battaglie e
scontri su scontri sotto e presso le mura.
Quanto ai troiani assediati adesso avevano anche un problema in più.
Con Ettore avevano perso anche il comandante dell’esercito. Qualcuno doveva prendere dunque ora il suo posto.
Il vecchio re Priamo di figli ne
aveva avuti certo molti al suo tempo; ma ne aveva anche persi molti in quella
rovinosa guerra oramai decennale senza fine.
Fu allora che venne il tempo di
Paride. O almeno ai più, parve così. E parve così anche a lui.
Paride era infatti anche egli uno
dei tanti figli di re Priamo.
Ma finché vi fu Ettore, era stato Ettore a primeggiare su tutti e anche su Paride.
Del resto Ettore stesso, e non solo lui, non aveva mai avuto troppo stima guerresca di quel suo fratello. Ettore infatti non aveva mai fatto mistero di considerare Paride un campione si, ma di sola bellezza sua esteriore. Ma di non avere affatto alcuna stima delle sue capacità guerriere. E di non ritenerlo affatto dotato delle qualità essenziali per il comando.
Ma adesso Ettore non c’era più.
Paride, invece c’era ancora.
E Paride dovette pensare che fosse giunto anche il suo tempo del comando. E di poter ambire con esso al regno stesso.
Paride sino a quel momento
effettivamente non si era particolarmente distinto sul campo di battaglia. Più
che altro nella sua vita si era sinora dedicato a presiedere concorsi di
bellezza di notevole risalto; ma che alcune delle concorrenti avevano anche
ritenuto concorsi truccati e comprati nel risultato dalla vincitrice.
Proprio da lì sarebbero infatti poi sorte inimicizie
senza fine delle divine concorrenti al più celebre di quei concorsi e destinate
a danno grave anche di Troia.
Ma Paride era però, anche, un
abile arciere. E scomparso adesso Ettore nell’infausto duello con Achille,
prese il comando delle incerte schiere troiane dicendo: ci penso io ad Achille e
con me vincete….
E così fece. Sul campo di
battaglia, scagliò una sua freccia. E, portento, colpì Achille proprio nel
tallone. L’unico punto del corpo che Achille aveva vulnerabile a ferirlo senza
scampo.
A dire il vero, su quella freccia che tolse di mezzo anche Achille, molti ebbero a dire che non fu solo e tanto merito di Paride.
Ma che ci avesse messo lo zampino, a dirigere la freccia precisa verso l’unico lembo mortale, soprattutto un dio avverso e nemico implacabile di Achille. Proprio questo <dio> avrebbe lui guidato, dicevano poi in molti, la freccia mortale di Paride contro Achille. Che senza quell’aiuto Paride non avrebbe mai tolto di mezzo Achille.
In buona sostanza, risultava che Paride ci avesse messo la freccia e l’arco; ma che a guidare il dardo sul bersaglio fosse stato un <dio> che aveva deciso di regolare a quel modo i suoi vecchi conti sospesi verso lo stesso Achille.
Fosse come fosse, Achille a sua
volta stramazzò in un cupo rimbombo di armature, mentre una piccola freccia gli
trafiggeva il suo calcagno.
Paride naturalmente si compiacque, e invitava tutti a convenire come fosse stato bravo e decisivo con l’arco. E che adesso era lui il capo dei troiani e l’erede naturale anche del trono di re Priamo.
Ma per l’esercito troiano fu
decisamente breve la festa.
Proprio mentre Paride se ne stava
ritornando entro la città lieto e festante del clamoroso successo appena colto,
nei pressi delle porte, un arciere nemico, tale Filottete, lo colpì a morte con
un dardo.
E pose a quel modo fine ai sogni di gloria e di potere di Paride che erano così durati nemmeno lo spazio di un mattino….
Ci fu chi in effetti disse
che anche qui non fosse tutta <farina> del sacco di Filottete la
micidiale direzione di quel dardo finito adesso contro Paride. E che anche qui,
Filottete, avesse ricevuto un <aiutino> a indirizzare il dardo. Sia come
sia.
Quel che era stato fatto, era stato reso. E del resto, moltissimi anche dei protagonisti di entrambi i campi contrapposti erano più che convinti anche da tempo che quella pluriennale guerra fosse stata <truccata> sin dall’inizio. Nel senso che loro, sia greci che troiani, ci mettevano la faccia. Ma a decidere ogni volta scontri decisivi risultavano <dei> potenti e nemici anche tra di loro e che così si facevano reciprocamente la guerra per interposti umani.
Perso anche Paride, che non ebbe
pertanto tempo e modo di godersi la eliminazione di Achille per propria mano,
come finì poi comunque la guerra?
Con la presa successiva della città di Troia. La quale venne alla fine espugnata e rasa al suolo anche senza Achille.
Dunque, alla fine, anche la gloria di Paride per il colpo fatale, non servì a molto. Né a lui, Paride stesso, né alla sua stessa città di Troia. Città che alfine capitolò, e perse la sua guerra, anche senza la presenza in campo avverso di Achille.
Così ci dirà infatti l’epilogo chi in seguito avrebbe raccontato le gesta di quella interminabile per tutti rovinosa guerra.
Neanche il vecchio re Priamo si salvò, dalla distruzione della sua città invasa.
Un solo troiano, ci si dice, si salvò: quello che prese sulle proprie spalle l’anziano padre, per la mano il figlio, e scappò lesto ed esule dalla città oramai sconfitta…
Chi è il Paride del caso nostro,
il poema non lo dice. Ciascuno potrà magari farsi qualche propria idea o
congettura. Mentre i fatti magari ne daranno anche migliore futura certezza di
riscontro.
Quel che sin d’ora si sa è che la città fu presa, e che anche Paride cadde dopo Ettore. E si apri un tempo nuovo su quei territori dopo la fine dei campioni di entrambi i campi che avevano sino ad allora dominato la scena quali controfigure di implacabili lotte di potere tra gli dei….
n.b
fonte delle immagini:www.wikipedia.org
si ringrazia
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