lunedì 14 ottobre 2013

Quella irresistibile tentazione



Italia - Localizzazione
(fonte immagine: www.wikipedia org)

Quella irresistibile tentazione di una parte della nostra grande Finanza e Industria italiana

Il titolo non appare scelto tale per motivi provocatori o di mera approssimazione: è stato scelto come immagine concreta assai reale.
Della situazione nostra italiana pluriennale. E se per primi noi italiani non incominciamo a dirci e guardare le cose nostre anche collettive per quel che sono ed appaiono, faremo di certo pochi passi avanti per cambiare o modificarle ove ci sembri giunta l’ora di farlo.

Quanto all’attuale conversazione che qui inizia, non potrà risultare di conseguenza esattamente breve. In quanto non si propone di scolpire <dieci comandamenti> di altrui opinione belle e fatte da prendere o lasciare. Ma invece si propone soltanto di osservare assieme quel che ci accade sfuggendo alla disinformazione usuale; così da consentire a ciascuno tra noi di poter valutare se quanto viene emergendo appaia motivato e quali conclusioni anche personali in tal caso ci propone. A chi lo gradirà, pertanto, buon viaggio, assieme, tra queste righe.

Intanto, perché parliamo di ricorrente tentazione di una parte della grande finanza ed industria italiana nazionale?

Perché la prima manifestazione di una siffatta tentazione in Italia la abbiamo vissuta, nella sua forma allora tragica e violenta, nel secondo ventennio del 1900.

Anche allora, infatti, la parte dominante della grande finanza ed industria nazionale, risultò fare la scelta di semplificare le grandi questioni nazionali e del lavoro che venivano emergendo, affidandosi ad una gestione autoritaria interna e che avrebbe preso il nome di Fascismo. Il Fascismo istituzionale, al di là delle tante altre forme più o meno presentabili o criminose che assunse, rimane in fondo - sul piano economico sociale - come la scelta politica di chi gli delegava soprattutto due grandi questioni nazionali:

-   paralizzare e disarticolare la spinta che stava emergendo prorompente per nuove condizioni retributive e normative anche per il lavoro italiano;
     
-   assicurare alla grande industria e finanza nazionale, dominus in casa ma alquanto irrilevante sul piano internazionale, una condizione protetta e assistita anche da parte delle pubbliche funzioni; in grado dunque di assicurarle un habitat incontrastato anche senza dover rischiare di investire troppo od innovare.

Questo in effetti il fascismo fece anche egregiamente, almeno fino a quando una guerra insensata quanto rovinosa lo distolse dai suoi compiti domestici comunque apparsi assolti.


Già, ma tutto questo, appartenente al nostro tragico passato recente, con l’Italia della melassa attuale e dell’ultimo nostro ventennio repubblicano, cosa c’entra, se non a rischiare un avventuroso accostamento?
Guardiamo meglio dentro la nostra Italia attuale e recente economico e sociale, e poi potremmo anche valutare meglio sopra anche un eventuale accostamento.


Cosa risulta aver caratterizzato la nostra Italia degli anni 90?
Una generosa normativa a sostegno del lavoro subordinato, un livello retributivo e rivendicativo salariale arrivato ai primi posti intraeuropei, una poderosa rappresentanza sindacale in grado nel suo insieme, ove occorresse, anche di paralizzare singole aziende anche grandi se non la intera nazione.
Su tutto si stagliava uno Stato nel suo complesso rimasto inefficiente sul piano gestionale, fortemente infiltrato da corruzione sistemica e politica centrale e territoriale, e afflitto da un furibondo scontro di egemonia politica tra le maggiori forze politiche italiane del momento: la democristiana, la socialista e la comunista di allora. Scontro che apriva ampi spazi di ingovernabilità sistemica proprio a causa dei reciproci veti e contrapposizioni incessanti.
E, sullo sfondo, anche all’inizio degli anni novanta, appare l’emergere già allora della insostenibilità del nostro debito pubblico rispetto alla ricchezza nazionale complessiva prodotta. Con conseguente deprezzamento della Lira esterna, e della Lira interna tramite inflazione cronica pesante.

L’Italia, già di allora, si mostrava come una nazione bisognosa di grandi riforme condivise nei pubblici poteri e nell’assetto complessivo della sua economia e delle relazioni economico aziendali. Alcuni grandi paesi europei, e proprio in quegli stessi anni, quali ad esempio Inghilterra e Germania anche se in forme tra di loro assai diverse, fecero la scelta di avviare radicali processi di riforme interne nelle relazioni loro economico sociali che però salvaguardavano i pilastri democratici delle istituzioni.
L’Italia, invece, non fece nulla di questo. Non risulta che avviasse una sola riforma di sistema che meritasse di venir chiamata tale. E perché non lo fece? 
Perché un processo di riforme che assecondasse anche nel tempo lo sviluppo equo e la competitività della nazione intera avrebbe dovuto necessariamente penalizzare le tante rendite industriali e sociali già allora assai forti. Scelse dunque di salvare l’esistente delle rendite parassite, ed il resto venne conseguente.
Un po’ come sul finire degli anni 20 inizio secolo, quando l’Italia risulta che scelse di non affrontare la sfida delle sue riforme interne e la disciplina conseguente delle rendite parassite già allora apparse più ingiustificate, come era in prevalenza l’economia agraria di allora in specie, anche al prezzo di sacrificargli la democrazia politica e delle istituzioni nazionali. 

Cosa risulta che fece, dunque l’Italia della Finanza e della industria prevalente di quegli anni 90’?

Risulta che eliminò con un colpo di accetta le forze politiche parlamentari dominanti i governi italiani sino ad allora; alcuni dei partiti prevalenti di allora li eliminò del tutto, mentre altri risultò che li taglio a fette (una parte cancellati, e una parte risultati condonati, una parte anche del tutto risultati esentati).
E guarda un po’, ben <curiosa> circostanza, saranno proprio gli esentati, ed altrui <fette> salvate, a risultare forze politiche di riferimento della svolta socio economica nazionale.
L’operazione <mani pulite> fu una truffa consapevole della Magistratura? Siamo propensi a non ritenerla tale dando volentieri la buona fede d’intenti, ma siamo anche propensi, oggi, col vantaggio di vedere l’intero quadro a posteriori, di poter ritenere che anche la magistratura in quella sua fase venne presumibilmente usata. Ed anche oltre le sue stesse intenzioni. Pare confermare questo anche recentissime rievocazioni di Di Pietro che di quei tempi fu <dominus> giudiziario: non avevamo bisogno nemmeno d’indagare – risultava dichiarare in sostanza ancora poco tempo fa l’ex magistrato Di Pietro – perché gli industriali venivano a frotte a confessare le malefatte di politici…
Più chiaro di così. Era la industria nazionale che denunciava i suoi stessi sodali politici per liberarsene di loro, e dei vincoli istituzionali che rappresentavano, anche a costo di lasciarci qualche propria penna. E quanto all'accessorio della moralizzazione della vita pubblica, doveva rimanere una <pia> intenzione, come si sarebbe incaricata di certificare anche la condizione della Italia attuale.
Anche qui, dunque, come in un tempo nostro più remoto, le forze politiche dominanti sino ad allora vengono accantonate nel discredito generale meritato ma anche vigorosamente incoraggiato da chi aveva interesse a farlo; e si delega a nuove forze politiche, già esistenti e non, la gestione del potere di Stato. Anche qui, come allora, sradicato dal parlamento elettivo, il potere decisivo istituzionale nazionale viene assunto dal Quirinale.

E perché il Quirinale?
Intanto perché era, ed è rimasto anche con la repubblica, l’apice <sovrano> di ogni altro potere istituzionale nazionale. Ma anche, e forse non di meno, perché nel momento in cui viene sradicata una gestione precedente elettiva, il Quirinale, potere che non nasce da elezione sua diretta, consentiva di mediarsi con chi già di per sé non aveva bisogno di consenso elettorale per <regnare>.
Non a caso assisteremo, a seguire dagli anni 90 e sino ad oggi, al succedersi in Italia di presidenti della repubblica ostentatamente ed efficacemente interventisti nelle competenze anche del governo e del parlamento. A seguito di un radicale trasloco mai detto di poteri reali supersiti istituzionali. 
Intanto i partiti falciati dalla nuova situazione di fine anni 90, in fondo fecero le stesse scelte dei partiti costituzionali che si trovarono dinanzi il fascismo storico: invece di provare a cambiare loro stessi, e le loro politiche, gli votarono i governi e si acconciarono anche a fornirgli maggioranze parlamentari iniziali. In pratica, si suicidarono, quelli dei partiti di allora un po’ come quelli anche di dopo, sperando di trovare un qualche ricambio di scampo all’epurazione in atto tra di essi.
Ma come in precedenza, anche questa volta si rivelò fatica e tempo perso questo loro atteggiamento accomodante; i poteri economico finanziari dominanti avevano ormai già deciso di voler fare a meno della mediazione istituzionale democristiana e socialista e di gestirsi ormai in pratica da soli anche lo Stato. Indubbiamente un grande aiuto gli sarebbe venuto dalla caduta del <Muro> a est dell’Europa; solo che in Italia pare non sia venuto giù solo il muro, ma anche tutto il tetto. Della casa comune istituzionale.

Non si sarebbero però fermate qui similitudini istituzionali inquietanti con quelle del ventennio di inizio 900.
Infatti, anche con i nostri anni 90, alla decapitazione delle forze politiche sino ad allora dominanti seguì pressoché immediato la modifica della legge elettorale sino ad allora vigente. Infatti, dal precedente proporzionale sino ad allora vigente, e che consente ad ogni elettore di disporre di un proprio potere di voto esattamente uguale e pari a quello di ogni altro elettore, la legge elettorale fu fatta adesso virare verso il <maggioritario>. 
Una modifica questa iniziale già di per sé radicale; in quanto proprio a tal modo si accordava, a minoranze elettorali, di poter disporre ugualmente delle maggioranze dei seggi parlamentari. E quindi si concedeva a minoranze elettorali di poter governare da sole la intera nazione.
Naturalmente ci si raccontò, e racconta, che questa nostra mutazione elettorale è avvenuta per dare stabilità ai governi; ma come si dice, le bugie hanno le gambe corte; anche in politica evidentemente. Infatti l’Italia della legislazione elettorale sempre più maggioritaria di questi ultimi venti anni risulta aver avuto assai più numerosi avvicendamenti di governi che non la Germania che ha e mantiene la sua legge elettorale proporzionale.

La rincorsa ad esperienze elettorali già di un precedente ventennio socio economico italiano, si sarebbe mostrata nel suo intero una decina di anni dopo. 

Infatti, presa l’iniziativa da chi in quel momento al governo, ma con palese condiscendenza piena e anche nel tempo da chi si trovava opposizione e viceversa, fu ripristinata, di fatto, anche la legge elettorale Acerbo già di Mussolini.
Infatti, sotto il nome domestico di Porcellum, la nuova legge elettorale italiana entrata in vigore nel 2005 previde di accordare il controllo totale del parlamento anche a chi avesse preso fosse pure un solo voto in più dell’avversario politico diretto. Anzi, forse perché il consenso elettorale risultava divenire sempre minore per chi si trovasse ora al governo, mentre Acerbo (il Fascismo) si accontentava di fissare una soglia minima di consensi elettorali (26%) per poter ricevere la maggioranza ampia parlamentare, i nuovi gestori della cosa pubblica italiana del terzo millennio non fissarono soglie al premio. 
Vale a dire che ancora adesso puoi prendere il controllo ampio del parlamento italiano con qualunque risultato elettorale ottieni, fosse anche del 10%. Purché superi anche di un solo voto il tuo migliore avversario elettorale del momento. Come si vede una Legge elettorale criminosa e liberticida pensata ad esclusivo vantaggio di chi detiene il potere ma è anche consapevole di avere sempre meno consenso elettorale nel paese. Una legge elettorale che avrebbe così spedito alla irrilevanza parlamentare permanente oltre la metà dell’elettorato potenziale nazionale.

Ma i gestori della legislazione elettorale italiana attuale fecero anche di peggio, dell’infausto precedente più remoto esempio.
Venne infatti contemporaneamente eliminata dalla legge elettorale ogni possibilità di scelta dei deputati da parte dell’elettore italiano; viene tolta infatti la preferenza, a favore di liste partitiche di candidati poste tra loro in competizione. 
Vale a dire che i partiti anche attuali si fanno il loro elenco di propri candidati deputati a piacimento. Poi, l’elettore, rimasto senza alcun potere proprio di scelta su chi eleggere, è chiamato ad una sorta di referendum sopra i capi partito in lizza. Ecco perché qui da noi conta così tanto il capo partito, perché puoi scegliere solo lui, ma insieme ti prendi automaticamente, e a scatola chiusa,  anche la lista dei suoi <amici> che faranno i deputati. Più adesioni conseguirà il partito come tale, e più deputati sodali si condurrà automaticamente esso in parlamento.
Con una vistosa gravissima eccezione ulteriore tuttavia: il premio di seggi smodato riservato dalla legge elettorale vigente al partito primo arrivato, si mangerà anche i seggi parlamentari di chi pur li avrebbe conquistati con la consultazione. In soldoni, io elettore ti ho scelto quantomeno come partito, ma il premio di seggi che viene regalato al tuo avversario rende inutile il voto che t’ho dato….voto mio che adesso viene infatti in pratica annullato a favore dell’altrui premio di seggi regalato.
Ultima ciliegina, su questa manipolazione autoritaria elettorale nostra ancora attuale: ti ci metto anche la percentuale minima di voti sotto la quale una lista politica non può entrare in parlamento. E in questo modo, l’incredibile cerchio si chiude: 
mi prendo il controllo del parlamento anche se sono solo una minoranza elettorale; mi porto dietro a fare i deputati quelli che mi sono scelto come amici e sodali; le opposizioni vere non entreranno mai in parlamento in quanto inciamperanno nella <soglia> di accesso sotto la quale si viene esclusi dalla rappresentanza politica parlamentare.
Amen.

Peraltro questa legge elettorale tuttora vigente, di liste bloccate di candidati entrati in parlamento non per scelta diretta dell’elettore, ma per insindacabile scelta dei capi partiti che l’hanno cooptato al deputato, avrebbe prodotto un ulteriore decisivo risultato del tutto assimilabile al ventennio del lontano passato italiano.
Il Parlamento nazionale a quel modo cessava di essere il luogo della rappresentanza diretta dell’elettorato tramite il deputato che si sceglie, per divenire una sorta di Camera delle Corporazioni. In quanto i singoli partiti ora destinavano, a fare il loro deputato, le rappresentanze delle Forze economico sociali di proprio riferimento. Le quali ultime, dunque, senza alcuna mediazione di consenso democratico elettivo conquistato, si impadronivano dell’intero potere legislativo del paese a loro esclusivo vantaggio e dei gruppi partitici di riferimento. 
La rendita parassita si era così impadronita dell’intero parlamento e con esso della legislazione dello Stato senza che nessuno, ad alcun livello, muovesse un solo dito per difenderlo. Il parlamento elettivo, che veniva così archiviato.
Da questo momento, l’Italia attuale cessava di essere una vera repubblica parlamentare elettiva, per mutarsi in un regime corporativo a cooptazione dei partiti nazionali ammessi al parlamento. E poiché il parlamento rimaneva titolare anche di molte sue nomine in poteri istituzionali non elettivi, in pratica la intera filiera dei poteri costituzionali nazionali sarebbe risultata adesso saldamente clonata dai nuovi oligarchi nazionali e dai loro fiduciari politici chiamati a deputati.

E che la nazione fosse intanto completamente <sbandata> anche nelle sue salvaguardie, si sarebbe incaricato di mostrarlo presidenti della repubblica che ritenevano promulgabile come niente fosse una simile svolta autoritaria della legge elettorale; ed organi di garanzia i quali - almeno sino al recente passato - trovatisi in più casi tra le mani quella legge elettorale liberticida, risulta che la avallavano con i loro saluti solidali.

Questo profondo degrado autoritario della Legislazione elettorale italiana si sarebbe tuttavia rivelato indispensabile per poter disporre di un parlamento funzionale alla pedissequa attuazione delle politiche economiche sociali risultate ora prese a riferimento.

Già, perché quale sarebbe risultata la politica economica e sociale che i nuovi padroni della legislazione elettorale e del parlamento avrebbero ora imposto alla nazione intera?

- Una radicale demolizione del potere d’acquisto reale interno dei redditi del lavoro e delle pensioni;
- Un radicale ricollocamento elitario della intera ricchezza nazionale;
- Una sterilizzazione della capacità d’interferenza e di tutela della rappresentanza sindacale in generale;
- Una tutela autarchica interna della rendita parassita nazionale nel suo insieme a scapito dello sviluppo equo collettivo;

E proprio in questo insieme risulta il ritorno della scelta parafascista economico sociale effettuato dalla parte dominante della Finanza e grande industria nazionale anche sul finire del secolo appena trascorso.

Appare a questo punto eccessivo ritenere <riproporsi della tentazione parafascista> all’interno della economia e della finanza anche attuale italiana?
Certo, forse non basta una sola aberrante abiezione anticostituzionale di legge elettorali dell’attuale ventennio repubblicano per concludere che stiamo rivivendo, con vesti esteriori certo ben mutate, la medesima tentazione parafascista socio economica già di un altro ventennio ben più remoto.
Anche se la capacità di mutazione persino in forme scopertamente autoritarie potenzialmente insita anche in sistemi democratici, pare averla già intuita Bertol Brecht, pur se ora qui citato a memoria, il quale, scrivendo lettere diario durante la sua permanenza negli Stati Uniti nel corso della seconda guerra mondiale, tra l’altro risulta che annotasse: se il fascismo fosse stato americano, sarebbe stato democratico.

Occorre a questo punto però anche poter vedere come la sostanziale soppressione del potere elettorale italiano sia stato posto a servizio efficace della politica economica reazionaria che ci siamo appena detti.
Ed anche questo tipo di prove socio economiche nelle politiche gestionali sino ad oggi perseguite pare si possa tuttavia constatare.

La svolta nella politica economica e sociale italiana, risulta intervenuta con il primo governo Prodi.
Con questo governo verrà infatti formalizzato l’ingresso italiano nell’euro e risulta che ne verrà anche fissato il cambio Lira/Euro.
Ma come vi entra l’Italia in euro e come sceglie di offrire competitività, nel nuovo contesto monetario comunitario, alla sua economia rimasta intanto ancora senza riforme di sistema e di rilancio produttivo innovativo?

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(fonte immagine:wikipedia.org) 

L’Italia risulta entrare in Euro con un cambio Lira/Euro sostanzialmente falsato; cioè sopravvalutato di quasi il 50% sul presumibile valore reale di cambio.

Le conseguenze di questa scelta di cambio risulta rimanere una colossale truffa monetaria nazionale a danno pressoché totale del lavoro e delle pensioni minori e dei piccoli risparmi personali, si inizierà a vedere quasi immediatamente dopo: 
innescherà una colossale svalutazione successiva e conseguente del potere d’acquisto dell’euro interno italiano. Infatti proprio quella pesante svalutazione interna di potere d’acquisto riportava l’euro italiano al suo cambio effettivo con la lira cessata.

Sarebbe stato diverso se allora avessimo adottato un cambio di conversione più veritiero, e che ci avrebbe portato a costatare che per avere un Euro sarebbero occorse 4.000 Lire circa almeno?
Sarebbe presumibilmente cambiato molto, ma per la Rendita che oramai già condizionava la intera  gestione del paese; infatti, entrando in euro con un differenziale doppio di cambio rispetto a quello attuato, il costo successivo valutario non l’avrebbero subito tanto i redditi fissi; ma i capitali liquidi in Lire preesistenti che adesso si internazionalizzavano in euro. E lo capisci bene che non è la stessa  cosa se cambiando un miliardo di lire ti restituiscono 500 milioni di euro e non 250 mila euro come sarebbe probabilmente accaduto con un nostro differenziale di cambio più vero.

Invece andò ben diversamente. I redditi fissi furono falcidiati del 50% rispetto al potere d’acquisto interno loro precedente; mentre i grandi capitali liquidi in lire si trovarono <omaggiati> di un regalo del 50% sul mercato internazionale dell’euro rispetto al loro effettivo valore a un concambio Lira/Euro più veritiero.

Merita anche annotare che questa scelta di cambio lira/euro si rivelerà rovinosa anche per il debito pubblico italiano preesistente; 
il quale debito pubblico, proprio a causa del cambio nostro risultato falsato, si ritroverà pressoché doppiato in euro sui mercati internazionali rispetto a quello che avrebbe determinato un cambio più rispondente al vero. Come dire che avere oggi un debito pubblico italiano di mille miliardi di euro, non sarebbe certo stata la medesima cosa del debito pubblico che oggi dobbiamo invece conteggiare in 2 mila miliardi sempre di euro.  
In pratica, il capestro su cui è stata tenuta appesa l’Italia intera in questo ultimo ventennio risulta averlo costruito proprio il governo italiano che ha adottato il fittizio differenziale del cambio nostro in euro ed tutti i successivi governi che  lo hanno poi consolidato. 
L’Italia risulta che scelse infatti consapevolmente la svalutazione dell’euro interno a favore della sopravvalutazione del cambio lira/euro con l’esterno.

Svalutazione italiana interna pesantissima che ciascuno di noi è stato in grado in tutti questi anni di constatare anche personalmente: tanto per fare solo qualche mero esempio, un chilo del nostro pane comune che oggi costa mediamente 1,20 € (euro), corrisponde a 2.400 lire precedenti; un litro di benzina costa oggi 1,5 €, corrispondenti a 3.000 lire precedenti; un giornale quotidiano oggi ci costa mediamente 1,20 €, corrispondenti a 2.200 lire precedenti; un caffè ci costa mediamente 1 €, corrispondente a 2.000 vecchie lire, un succo di frutta al bar a 1,50 € corrisponde a 3.000 mila precedenti lire….
Cioè, vediamo tutti noi assai bene, ed anche da tempo - con tutti gli altri costi medi di esistenza che uguagliano anche essi gli esempi o li peggiorano persino – che il potere di acquisto reale dell’euro interno italiano non ha niente a che vedere con un cambio d’ingresso nominale il quale avrebbe dichiarato 1€ = 1.900 lire.
Una truffa risulta quella che ne sarebbe emersa, una truffa brutale di Stato che in questo modo ricollocava totalmente la scala italiana dei percettori di reddito.  
Con il Lavoro e le pensioni che si ritrovavano solo per questo, svalutate di circa il 50% sul loro potere d’acquisto precedente. In parole povere, un salario o una pensione che nominalmente si vedevano chiamate ora 1.000 €, non conservavano affatto un potere di acquisto equivalente a precedenti 2 milioni di lire. Ma si ritrovavano improvvisamente, e senza che alcuno lo dicesse o lo ammettesse, svalutate di circa il 50% nel loro potere d’acquisto reale precedente.
E sarà proprio in questo modo che il reddito da lavoro italiano, sino a quel momento uno dei primi dell’Ocse, si ritroverà precipitato d’incanto, ed anche stabilmente mantenuto, agli ultimi posti anche odierni del medesimo Ocse.

Adesso forse si potrà capire meglio come questo procedere abbia dato attuazione alla scelta di una economia del sottosalario da parte di un gruppo dirigente economico e sociale che si era intanto impadronito del potere legislativo e gestionale tramite quello che in seguito rimaneva un mero simulacro di legge elettorale.


Ma una simile mazzata al potere d’acquisto di tanta parte di popolazione tramite svalutazione risulta essere intervenuto anche in altre nazioni anche per cause diverse di un cambio monetario intraeuropeo come nel nostro caso italiano. Tuttavia queste brutali politiche economiche di impoverimento di intere aree vaste di popolazione in genere vedono corrispondervi fasi di grandi agitazioni sociali e sindacali per cercare di recuperare almeno parte dei propri personali redditi vistisi confiscati ed abrogati.
In Italia, invece, non accadde e non accade niente di tutto questo.


La mattanza dei redditi interni fissi, soprattutto di Lavoro e pensioni normali, risulta avvenire senza che nessuno aprisse bocca, senza che nessuno lo rivelasse ai danneggiati, senza che nessuno proponesse reazioni democratiche efficaci di riequilibrio almeno tendenziale verso i danneggiati.
Silenzio totale risultò anche da partiti politici che pure continuavano a dichiararsi sociali; silenzio totale da parte anche di organizzazioni che avrebbero dovuto presidiare proprio i diritti anche retributivi del lavoro nazionale; silenzio mediatico totale come istituzionale.
Mentre tra noi popolazione iniziava a diffondersi quella dolorosa esperienza che avrebbero chiamato <la crisi della quarta settimana>; vale a dire che non si riusciva, da troppi, ad arrivare alla fine del mese con i propri incassi.  Cioè, in parole meno ipocrite, per tanti si iniziavano a mostrare visibili le insufficienze del reddito per assicurarsi l'esistenza personale e le sue connesse esigenze.   Poichè quello di reddito che prima bastava in lire, adesso non era più sufficiente in euro.

Anche la parte economica più reazionaria era stato dunque possibile condurla all’attuazione, nel sostanziale silenzio passivo totale anche di forze politiche o di rappresentanza che nei loro compiti formali avevano la tutela e la rappresentanza proprio dei meno avvantaggiati.

Il cuore di una politica economico e sociale che si riscopriva parafascista in attuazione, aveva dunque potuto trovare indisturbata attuazione.

Non vi erano più all’evidenza forze politiche che risultavano concretamente interessate a rivelarla ed opporvisi, non vi era più legislazione elettorale che consentisse all’elettore ed elettrice di auto tutelarsi idoneamente.
La mutazione radicale dell’economia italiana era dunque, nella sua sostanza, stata attuata e nel silenzio apparso omertoso di troppi:

- in un colpo solo risulta nei fatti dimezzata la capacità economica di tutti i redditi fissi italiani, in specie di lavoro e pensioni normali.

- nessuna delle forze politiche e sociali contrasterà né risulta che ammetterà mai l’enorme accadimento

- la rilevazione statistica dell’andamento del costo della vita italiano in quegli stessi anni, in cui il costo medio della vita risulterà in realtà crescere sino intorno al 100% complessivo, attesterà come costante un incremento del costo della vita inesistente; risultando infatti attestare per anni tale medesimo aumento mediamente tra l’1 e mezzo ed il 2,5%.
Pertanto, la demolizione dei redditi di tanti seguita al cambio truccato Lira/Ero non sarà mai riassorbita dagli adeguamenti di reddito pur ancora esistenti. Complici attivi anche tutti i governi susseguitisi in quegli stessi anni, i quali imporranno a riferimento dei conti pubblici e dell’andamento dei redditi la cosiddetta <inflazione programmata>. Fissata senza alcun fondamento dai governi stessi ad inizio anno, su di essa risulta che si sarebbero basati sia tutti gli adeguamenti contrattuali come i recuperi di indicizzazione previsti.
Una frode nella frode reddituale sarebbe risultata una simile procedura, a fronte del costo della vita nazionale (prezzi e servizi) che si sarebbe intanto impennata selvaggiamente anno per anno. 
Nei fatti, se l’andamento dei costi della vita italiani fossero stati rilevati con qualche rispondenza al vero, in quei medesimi anni l’inflazione italiana sarebbe risultata assai simile a quella conosciuta dall’Argentina quando abbandonava il rimborso del suo debito sovrano. In Italia, una operazione selvaggia di svalutazione interna sarebbe invece passata come se nessuno se ne fosse mai avveduto o reso accorto; non avrebbe determinato, infatti, una sola ora di sciopero di protesta, non avrebbe evocato alcuna mozione politica di dissenso e denuncia fuori e dentro il parlamento, non avrebbe sollecitato un editoriale o una campagna di stampa.

E questa, non risulta equivalere alla adozione in Italia di una rinnovata politica sociale ed economica parafascista?
Non risultava nuovamente silenziata qualsiasi comportamento politico e di rappresentanza che si potesse opporre efficace a una simile condotta totalmente iniqua?

Risultato:
- l’economia italiana si sarebbe ritrovata a operare per anni in una economia di sottosalario, quale unica fonte della sua competitività esterna in carenza pressoché totale di investimenti, innovazioni e ricerca sul prodotto.
In pratica, si ottimizzavano i ricavi sull’esistente mentre se ne schiacciavano artificialmente i soli costi del lavoro.

Così è sostanzialmente vissuta infatti l’economia italiana, nel suo complesso, per oltre 15 anni. E i governi pur di alterne maggioranze formali, risultano aver tutti custodito e consentito procedesse indisturbato il medesimo segreto d’impoverimento collettivo. E continuavano a dare attuazione alla medesima politica economica che tutti  condividevano nonostante le apparenze differenti soltanto di dettaglio.

Merita solo osservare che, in un paese come rimane tuttora l’Italia senza vero Fisco sui redditi personali - ad esclusione di quelli con trattenuta fiscale alla fonte quali appunto salari e pensioni che a tale ragione non possono evadere - poter espandere a piacimento i prezzi di beni e servizi così da recuperare su di essi in pieno ed oltre la svalutazione interna intervenuta, veniva a coincidere con un ricollocamento gigantesco della intera ricchezza nazionale


Ricchezza che si spostava pertanto sempre più dal Lavoro e dall’Impresa d’investimento, per traslocare alla Rendita passiva.

Non bastasse, alla assenza pressoché totale di Fisco effettivo sui redditi personali si affiancava negli stessi anni una tassazione pesantissima nazionale che veniva però applicata in prevalenza nella sua forma indiretta.  Vale a dire che si tassavano i servizi e prestazioni, e non il reddito. 
Tassazione indiretta che veniva adesso in larga parte <appaltata> alle Autonomie territoriali (Comuni, Province, Regioni); così da poter anche mentire che lo Stato non aumentava mai le tasse, mentre intanto la pressione fiscale soprattutto indiretta veniva fatta divampare ovunque.
Ma la tassazione indiretta, come ovunque noto, ha la sua caratteristica ineludibile di risultare anche inversamente proporzionale al reddito personale.
Per chi sembri cosa strana e magari irrilevante, provi a vedere cosa significhi, in percentuale, pagare 150 euro un medesimo servizio sia a chi guadagni 1000 euro al mese come per chi ne guadagni 10.000 o 100.000 euro al mese.
Si potrà agevolmente constatare, e da tutti, che il reddito di 1000 euro ne avrà un’incidenza del 15%; che un reddito di 10.000 euro ne avrà di quel medesimo costo una incidenza dell’1,5%; un reddito di 100.000 ne avrà una incidenza del 0,15%. Più chiaro di così, di come la tassazione indiretta colpisca maggiormente il reddito più basso a tutto vantaggio del reddito più alto.
A miglior riprova inversa, se quel servizio fosse costato un ipotetico 1% a tutti indistintamente i percettori di reddito tramite tassazione loro diretta, il reddito di 1000 euro al mese concorrerebbe con 10 euro; il reddito di 10.000 concorrerebbe con 100 euro; il reddito di 100.000 concorrerebbe con 1.000 euro.

Ed è proprio su queste due grandi leve, demolizione del potere dei redditi fissi tramite pesantissima svalutazione interna nazionale taciuta; passaggio della tassazione nazionale prevalente dalla diretta (quella sui redditi personali) a quella indiretta (quella sui servizi), che si sarebbe potuto arrivare ai giorni nostri con meno del 10% della popolazione italiana la quale risulta possedere ormai quasi il 60% della intera ricchezza nazionale. Mentre contemporaneamente constatiamo, e sempre oggi, oltre 8 milioni di connazionali essere già scivolati nella condizione di povertà totale.

Se non è rinnovata attuazione di  una economia parafascista questa, cosa mai lo sarebbe?

- i redditi fissi vengono demoliti radicalmente ;
- la rappresentanza che dovrebbe tutelarli risulta che si assenta e tace;
- i parlamentari nella loro intera composizione cessano di rappresentare le scelte dell’elettorato;
- la tassazione abbandona sempre più la forma diretta, per concentrarsi adesso quasi interamente nella tassazione indiretta;

In Italia risulta venire attuato dai governi nazionali dell’ultimo attuale ventennio: una selvaggia restaurazione economico sociale a danno pressoché esclusivo del Lavoro in tutte le sue forme.
E questa colossale ridistribuzione della intera ricchezza nazionale risulterà possibile attuarla col sostanziale omertoso silenzio universale anche di chi avrebbe dovuto naturalmente opporsi.


Perché anche partiti che non erano nati appositamente per accompagnare un simile processo di regresso collettivo, non risulta che si siano opposti ed anzi si sono mostrati così efficaci gestori  conniventi ?
Si sentivano ricattati? Si sentivano anche essi minacciati d’esistenza come altri già estinti? Hanno fatto la scelta di adeguarsi costi quel che costi finché non <passasse l’onda>, hanno venduto <l’anima> per venire accolti a gestori per i nuovi poteri economici emersi vincenti?
Questo non è dato di saperlo.
Possiamo solo constatare, senza temere di far torti involontari, ma solo osservando l’evidenza, che in questi ultimi decenni italiani troppi cani da pastore risultano essere andati usualmente a spasso amichevolmente con i lupi; con le conseguenze facilmente immaginabili sulla sorte delle greggi che se ne stavano anche tranquille proprio grazie alla visibile presenza degli usuali tutori….

In vero, i partiti, quelli già esistente come i nuovi, qualche precauzione risulta la prendessero per la loro stessa sopravvivenza sempre meno sostenuta dall’elettorato e mai amata veramente da chi pur stavano attivamente aiutando.

Consapevoli di aver in pratica comunque perduto il controllo loro totale sullo Stato, i partiti emersi supersiti come i nuovi, in questo apparsi nei fatti solidali, molti dei poteri costituzionali  e gestionali decisivi li avrebbero trasferiti in periferia. Cioè presso le autonomie territoriali dove si sentivano probabilmente più forti.

Il sistema bancario di Stato, ad esempio, solo apparentemente privatizzato, fu invece saldamente mantenuto nella mano dei partiti delocalizzandolo. Val a dire che la politica come oggi la conosciamo, rinunciava apparentemente al possesso del sistema bancario di Stato, ma in realtà lo mantiene sotto stretto controllo dei suoi partiti. I quali partiti, sia supersiti che nuovi, sarebbero rimasti sino ancora ad oggi i veri proprietari e gestori della fetta più grande dell’intero sistema bancario nazionale; tramite le Fondazioni che controllano tuttora la quasi totalità del sistema bancario nazionale, ma che hanno, le medesime fondazioni, designate dai partiti territoriali (Comuni, Province, Regioni) larga parte delle proprie stesse composizioni gestionali.
E per inciso, perché quella parte della nostra Finanza e della grande industria che si è mostrata capace di sottomettere alle proprie scelte e interesse la politica nazionale come si è potuto anche qui vedere, sostanzialmente non ha mai obiettato che quella stessa politica ora divenuta subalterna conservasse però in proprie mani il sistema bancario?
Sostanzialmente per la medesima ragione per cui il Fascismo vero insediato dalla Finanza e grande industria di allora, si ritrovò poi a dover varare l’Iri bancario ed industriale. La cosiddetta grande Finanza italiana e buona parte della grande industria nazionale risulta infatti aver sempre amato comandare senza troppe regole, ma non ha mai amato impegnare suoi grandi  capitali per gestire in questo modo trasparente i propri poteri naturali.
Così poteva accadere che in Italia non si affermasse mai, sia prima con il Fascismo storico che dopo con l’attuale ventennio, un forte capitalismo privato italiano bancario. 
Meglio, forse molto meglio come in questa fase del nostro ventennio attuale, partecipare con quote infinitesimali di capitale proprio privato dentro il sistema bancario tuttora politico. Ma ricevendone in cambio quote spropositate di potere cogestionale. Padroni a casa d’altri senza metterci i soldi propri; o se si preferisce, anche qui, privatizziamo gli utili e pubblicizziamo i costi…


L’altro pilastro, grazie al quale i potenziali <ricattati>, cioè i partiti ancora attuali, risultavano rimanere essi stessi potenziali <ricattatori>, si sarebbe manifestato e poi consolidato sempre a livello territoriale decentrato. Risulta infatti che a questo livello politico decentrato,  (Comuni, Regioni, Province),  si sarebbe manifestata e poi dilagata, una miriade di società miste pubblico privato. 
Proprio qui si sarebbe alimentato indisturbato il medesimo scambio impresa/politica che veniva già anche esso dal fascismo: pubblicizzare le perdite e gli investimenti, privatizzare gli utili. E proprio in questo tessuto pubblico-privato senza confini netti né di costi né di diritti, sarebbe cresciuta la vera classe dirigente politica del sistema ancora attuale. 
In oltre 60 mila enti e società intermedi e misti territoriali, una infinita miriade  di ruoli politici in consigli di amministrazione, in assunzioni spesso protette, in salari spesso fuori mercato in specie per i dirigenti. C’è chi ha stimato in oltre due milioni di persone la <mano morta> partitica di regime che i partiti alimenterebbero a livello territoriale con l’economia corporativa attuale. Persone, e non solo politici, che vivrebbero solo grazie alla politica e della politica, indipendentemente spesso dalla redditività o merito.

Questi sarebbero dunque risultati i veri bastioni – controllo del sistema bancario nazionale ed economia mista corporativa territoriale -  dai quali la politica partitica avrebbe contrattato permanentemente la propria stessa esistenza nei confronti di quelle forze economiche della rendita a livello centrale dello Stato ormai risultate vincenti.

Ma questa trasformazione genetica della economia nazionale da intrapresa di rischio in mantenuta, non si sarebbe mostrata successivamente circoscritta alla sola realtà periferica territoriale.
In realtà. e come possiamo osservare benissimo proprio adesso nello scoprire che ci stiamo deindustrializzando, era pressoché tutta anche la grande Industria nazionale che risultava in questi medesimi ultimi nostri venti anni cambiare progressivamente propria pelle e natura. Dal momento che, anche per la gran parte di essa, il profitto imprenditoriale non risultava più discendere in prevalenza da investimenti di capitali propri e  innovazioni di prodotto e d'impianti. Quanto dalla acquisizione sempre più decisiva di sussidi e rendite elargite discrezionalmente dalla <mano pubblica>.
Cosiccché un'economia industriale nazionale del sottosalario passava  quasi senza accorgersene anche ad economia protetta e mantenuta extra aziendalmente

E se chi mantiene lo può fare sostanzialmente a propria discrezione, pare del tutto evidente che proprio questo chiami una dilagante corruzione; dal momento che appare evidente il dover <incoraggiare> chi decide la tua sorte. 


Proprio qui, a ben vedere, si sarebbe rivelata la capacità di sopravvivenza di una politica decimata e vistasi depauperata dei propri naturali poteri costituzionali e di rappresentanza elettorale: prendere per la gola, cioè per il <portafoglio>, chi l'aveva messa in rotta. In quanto era la politica supersite a mantenere il controllo formale della cassa. Di Stato.

E la parte prevalente della Finanza e della grande industria che pure risulta avere rovesciato come un calzino la intera classe politica preesistente, come si garantiva verso i propri nuovi fiduciari. Si accontentava potremmo dire, di tenerli <al guinzaglio>
I nuovi partiti supersiti furono condotti a rinunciare essi stessi all’immunità parlamentare dei singoli deputati; a quel punto ogni parlamentare sarebbe rimasto esposto alla spada di Damocle di vedersi condannato ed estromesso dal parlamento senza più le quarantige di protezione precedente. Dunque era sostanzialmente in mano al suo stesso eventuale sodale di affari, il quale ultimo, a fondamento o meno, poteva sempre denunciarlo. O peggio, si poteva potenzialmente ora vedere eliminato per via giudiziale anche se solo ad altri fosse apparso scomodo. 
E quanto fossero utili quelle medesime quarantige ora tolte al parlamento lo avrebbe dimostrato oltre ogni dubbio proprio l’unico potere politico istituzionale italiano che aveva mantenuto la sua immunità totale costituzionale: quello del Quirinale.
Per due volte, infatti, due presidenti della Repubblica italiani risulta che invocarono e videro attuate efficacemente le loro decisive prerogative sovrane d’immunità totale personale. 
Uno, risulta Scalfaro che a rischio di vedersi indagato pronunciò il pubblico notorio: Non Ci Sto. L’altro, l’attuale, che si è visto riconosciuto l’altrettanto perentorio: Non Potete Ascoltare le mie conversazioni.


L’Italia, e la sua economia divenuta sempre più assistita, corrotta ed asfittica, risultò comunque andare avanti più o meno a questo modo per una quindicina d’anni. Anche se ad un prezzo estremamente pesante per l’intera comunità nazionale:

-       il pil nazionale, svuotato di rischio d’impresa reale e d’investimenti innovativi e produttivi in favore della rendita parassita assistita, cessò di crescere. Per anni e anni, in pratica dalla metà degli anni 90 a qualche anno addietro da oggi, il pil nazionale prese ad oscillare più o meno stabilmente tra sopra e sotto lo 0,5-1,5%; in pratica una stagnazione permanente nazionale.

-       il debito pubblico nazionale, nei suoi valori sia assoluti che in percentuale sopra il pil annuale, prese a crescere incessante e senza mai mostrare di voler scendere. Adesso in Euro. Visto che la rendita parassita, e chi la amministrava, mostrava di non avere remore e limiti nell’inghiottire la spesa pubblica statale come territoriale rimasta finanziata in prevalenza come sempre a debito. Pubblico.


Quanto al consenso alle forze politiche del regime attuale, che già iniziava a calare per effetto delle sue vere scelte economiche e sociali e delle loro ormai palesi conseguenze, si sarebbe alfine dileguato dinanzi alla evidenza della sua <guerra> già persa anche da questo regime.

Quale guerra? Quella di poter espandere illimitatamente il debito pubblico nazionale con cui finanziare sia le varie cricche che il proprio consenso anche in presenza di una economia che adesso non riusciva più non solo a crescere, ma ormai neanche più ad esportare in modo consistente, perché i benefici pur se iniqui della pesantissima svalutazione con l’ingresso nostro italiano in euro erano stati tutti ormai mangiati per sé intanto dalla sola rendita.

Il fronte della espansione ritenuta sino a quel momento illimitata del nostro debito pubblico crollò infatti nel 2011.
Gi investitori internazionali, e anche comunitari, mostrarono chiaramente di star abbandonando sia il riacquisto come anche il possesso proprio del debito italiano. Non si fidavano che saremmo stati ancora solvibili; non come patrimonio ma come liquidità ordinaria.
Da qui venne l’esplodere dello spread che portò anche alla resa finale dell’ultimo governo Berlusconi: ci stavamo ormai infatti avvicinando concretamente ad un percorso di illiquidità potenziale nel fabbisogno pubblico italiano.

La seria evenienza per una nazione come la nostra che ha continuato a vivere di debito pubblico all’interno di una economia stagnante, si sarebbe potuta affrontare in un solo modo, cioè come quello con il quale alla fine è stato affrontato?

AFFATTONel medesimo 2011 la stessa Bce (Banca centrale europea) provò a farci vedere anche per scritto con i suoi presidenti uscente ed entrante (Trichet/Draghi), che il rischio di illiquidità italiano poteva venir affrontato e superato all’interno di un coerente progetto di rinnovamento sia economico che gestionale italiano.
Ma probabilmente entrambi i presidenti Bce avevano sottovalutato  la presa sul paese della rendita parassita italiana. La quale ultima mostrò infatti che non aveva la minima intenzione di farsi da parte neanche adesso nella gestione economico sociale
E quello che ne segui, nella gestione nazionale, mostra di avere poco a spartire con colpe della Ue; che di colpe sue la Ue ne avrà probabilmente molte, ma almeno in questo caso furono e sono tutte nostre interne italiane le cause come anche le scelte.

Fu così che l’Italia politica attuale scelse invece la strada di salvare ancora una volta la rendita parassita vigente e le forme economico sociali che la rappresentavano.

Ed ancora una volta, come in passato recente, fu al Quirinale che risultò tornare la gestione diretta della crisi politico-finanziaria di regime.

L’Italia della rendita scelse infatti di affidare all’uomo del Quirinale per la bisogna - una specie di nostro Badoglio attuale finanziario - la sua difesa estrema. E che sarebbe consistita, tale difesa estrema di chi non intendeva arrendersi né tantomeno rinunciare a nessuno dei tanti propri privilegi, nel rastrellare ovunque, dal corpo vivo della nazione senza troppa sottigliezze e distinzione, una imponente mole di risorse liquide immediate tramite fisco e tributi e che infatti si scatenarono ed ampliarono ovunque.
Servivano un mare di denaro liquido di tutti noi italiani, alla rendita parassita, per non dover dichiarare la propria bancarotta di gestione. E Monti, intanto fatto senatore a vita proprio per la bisogna, risulta che come un fedele sceriffo di Nottingham (quello contro Robin Hood) lo procurò, quel mare di denaro liquido, a chi l’aveva messo in quell’incarico.

Si può oggi infatti ritenere ragionevolmente che il Monti presidente del consiglio del momento, abbia rastrellato dalle tasche indistinte di noi italiane ed italiani attorno a 70/80 miliardi di euro liquidi pronta cassa.

La crisi di liquidità potenziale paventata dello Stato italiano della rendita, neanche un anno dopo, poteva dirsi a quel modo oramai quasi evitata. MA AD UN PREZZO ALTISSIMO. Nazionale e privato.

Sotto quella marea di tasse scomparve, infatti, progressivamente il mercato interno italianoA causa di un impoverimento eccessivo della maggior parte dei suoi utenti. 
Mentre le continue <grida manzoniane> inconcludenti contro l’evasione, sarebbero però riuscite a far rinunciare a spendere anche la maggior parte degli abbienti. Il risultato fu che adesso non spendeva chi non aveva più soldi, ma non spendeva neanche chi i soldi li aveva, nel timore di vedersi classificato come ricco. 
E per una nazione come l’Italia la quale mostrava ancora nel 2010 che oltre il 70% del suo pil era dovuto al mercato interno, questo avrebbe comportato inesorabilmente una progressiva colossale moria di imprese e aziende e professioni. Accompagnate, come naturale conseguenza, dal dilagare parallelo della disoccupazione, donna e giovane in specie.


Ci si sarebbe potuto attendere che un governo nazionale trovatosi finito in tanto disastro collettivo, avrebbe a questo punto dedicato ogni propria energia e decisione a rianimare e rilanciare il pil tramite Imprese e Lavoro equo.

Invece ci ritroviamo con un Monti che continua a fare il senatore a vita per aver mandato con successo, e poi anche mantenuto, il paese intero in recessione pluriennale.

Recessione che, anche dopo le nostre recenti ultime elezioni politiche, risulta rimanere la immutata scelta economica centrale del paese e dei suoi governanti anche attuali. 
Il governo Letta oggi in carica, infatti, di conserva col Quirinale intanto rieletto e che aveva insediato entrambi i due ultimi capi di governo ed avallato e sostenuto attivamente la intera politica economica già di Monti e ora di Letta, in mezzo a tante misure d’annuncio, sta intanto accompagnando anche per il 2013 l’economia italiana ancora in Recessione. Questo appare il dato certo; il resto sono chiacchiere non meno di quelle di Monti che annunciava a giorni alterni di vedere una luce in fondo al tunnel in cui c’aveva a  tutti noi infilato.
Dunque la Recessione nazionale, chiunque intanto governi che sia Monti o Letta, non si tocca. E risultano presidiarla oltre al capo del Governo anche attuale, il riconfermato occupante del Quirinale e la stessa maggioranza parlamentare già di Monti (Pd+Pdl+Montiani/Scelta Civica).


Ma a questo punto una nuova domanda viene naturale.

Cosa di così importante presidia questa nostra Recessione italiana che nessuno dei detentori dei nostri pubblici poteri mostra di aver veramente voluto né di voler tuttora evitare e tanto meno fermare?

Pare che la possibile risposta possa risultare che la nostra rendita parassita, la quale sì è presa il paese e tuttora ci governa con le sue propaggini politiche alleate, risulti per così dire un soggetto <seriale>. Cioè un soggetto, il quale, anche a distanza di anni, tende a ripetere i medesimi misfatti e nelle stesse forme e luoghi. 
Cioè un soggetto che tende a reiterare.

Vediamo infatti che il nostro paese conobbe anche nella prima metà degli anni 90 del secolo trascorso, una sua grave crisi di liquidità del debito pubblico. Ed allora, la risposta d’emergenza fu una marea di tasse istantanee ed estemporanee (94miliardi allora in lire) messe in atto dal governo Amato (1992) che appunto per la bisogna era stato elevato a presidente del consiglio.

Ma abbiamo ora visto che la crisi di liquidità sul debito pubblico riemersa nel 2010, risulta essere stata fronteggiata nel medesimo identico modo già di Amato, da un presidente del consiglio (2011) ora di nome Monti. Monti che col suo governo avrebbe infatti rastrellato in pratica <all’istante> circa 70miliardi (questa volta di euro) tra nuove tasse e tagli anche di pensioni esistenti.

Vediamo che all’economia italiana, rimasta intanto senza investimenti idonei in ricerca e innovazione ed istruzione negli anni, era stata offerta la via d’uscita iniqua del sottosalario ottenuto tramite una enorme svalutazione dell’euro interno italiano risultata opportunamente propiziata proprio a tale fine con il cambio Lire/Euro adottato.

Ed oggi vediamo nuovamente come la rendita parassita italiana ha attuato di nuovo la medesima scelta che già aveva fatto entrando in euro: tentativo di recupero di competitività all’economia italiana per mezzo di una seconda pesante svalutazione dell’euro italiano interno.

E questa seconda svalutazione dell’euro interno italiano, che demolisce per una seconda volta i redditi fissi nazionali di lavoro, pensioni, e piccoli risparmi, come viene oggi ancora attuata?
TRAMITE LA RECESSIONE volontaria di questi stessi ultimi anni.

Recessione vuol dire infatti una simmetrica equivalente perdita di potere d’acquisto dei redditi fissi interni; a fine di questo anno 2013 possiamo infatti ragionevolmente ritenere che sia stato già abbattuto di non meno del 20% il potere di acquisto dei redditi fissi italiani rispetto a prima della recessione.
Se poi nonostante tante chiacchiere non saremo tornati allo sviluppo neanche il prossimo anno 2014 - come fanno temere soprattutto le nostre vere politiche economiche ancora in corso anche con Letta - a quel punto la svalutazione dell’euro interno italiano sarà complessivamente stata di non meno del 30% sulla condizione precedente alla recessione stessa.

E che il bersaglio mirato della rinnovata svalutazione dell’euro italiano questa volta da recessione, sia ancora una volta il reddito fisso, lo  svelano oltre ogni dubbio proprio le misure necessarie e funzionali che Monti adottava immediatamente appena insediandosi a capo del governo:
via la indicizzazione delle pensioni; blocco dei rinnovi contrattuali pubblici come privati. Questo perché, né Lavoro né pensioni potessero contare sui recuperi automatici alle perdite pesanti di potere d’acquisto a cui venivano di nuovo intenzionalmente sottomessi.

Cosicché, nell’invarianza di percorso e di rimedi economico sociali, un reddito pre recessione che fosse stato di 1000 euro nominali (corrispondenti però in potere di acquisto reale a 1 milione scarso delle vecchie precedenti lire come abbiamo appena visto), già oggi offre un potere di acquisto reale – sempre quei medesimi 1000 euro nominali - equiparabile a 700/800 mila vecchie lire.

Vedete che a mano a mano ci arriviamo?
Un paio d’anni fa Marchionne della Fiat risulta che dichiarasse a proposito dello stabilimento che pare fosse Pomigliano: riporto in Italia la Panda se mi costa produrla come in Polonia. In Polonia, fatti i relativi aggiustamenti di cambio intracomunitari, allora un salario medio Fiat risultava corrispondere a 600/700 mila vecchie lire come indicavano gli stessi operai polacchi che venivano intervistati dalle nostre emittenti proprio sulla circostanza. Quasi ci siamo, oramai, non è vero?

E di nuovo tutti dei pubblici poteri e funzioni tacciono, tutti pare si girano dall’altra parte fingendo che non stia accadendo niente ai redditi fissi italiani con la recessione ancora in corso.




Si ferma qui quella che appare come la reiterazione <seriale> nei comportamenti anche attuali della nostra rendita parassita economico-politica?

No, piuttosto pare che anche la politica esistente si adegui per la seconda volta alla <serialità> per quel che la riguarda.
La prima volta della scelta di svalutazione come nostra scelta economica mai detta, risulta che infatti si accompagnasse inscindibilmente ad un partito che si candidava a gestirla anche nel sociale e nel governo; e che si accompagnava ad un capo partito eliminato dalla scena politica sia per fare spazio elettorale ai nuovi possibili gestori che per offrire copertura mediatica alla pesantissima involuzione sociale ed economica contemporaneamente posta in atto.


E dinanzi a questa reiterata seconda svalutazione odierna sempre attuata ai danni ancora dei redditi fissi e di lavoro come già la prima volta, che cosa risulta accadere nel campo della politica attuale intesa in senso stretto?
Che anche essa sorprendentemente risulta che reitera. Piatta e pari, risulta proprio che reitera. Afflitta evidentemente anche essa da una <serialità> di specie.

Un partito risulta che si candida a gestire infatti anche questa seconda svolta economico sociale autoritaria ed iniqua (anzi, a ben vedere, la sta già gestendo con l’attuale presidente del consiglio che ha già espresso); e anche adesso questa altrui scelta risulta accompagnarsi puntuale alla eliminazione dalla scena politica di un capo partito avversario diretto (e di nuovo, capo partito anche alleato nel governo).

Non abbiamo elementi per sostenere che Craxi dovesse essere esentato (tanto più che chi allora socialista, Craxi lo lasciava quando era ancora nel pieno fulgore sobbarcandone i relativi effetti); non abbiamo elementi per ritenere che Berlusconi dovesse essere risparmiato (non siamo stati né siamo berlusconiani).
Tuttavia non possiamo altrettanto astenerci dal dover osservare che, per la seconda volta, un partito che si candida a gestire una politica per sé stesso contro sua natura (non trattandosi di partito a storia e cultura ufficialmente reazionario) si ritrova a poter nascondere le sue vere scelte economico e sociali che attua dietro lo schermo ipocrita di un altrui <rogo> politico. Ieri quello di Craxi, oggi Berlusconi. 
E per la seconda volta risulta ritrovarsi a poter sviare la comprensibile collera di dissenso politico anche del proprio stesso elettorato per le politiche che vede attuate, e per le alleanze governative che ha tuttora in corso, esibendo a diversivo lo <scalpo> del <nemico-amico> politico appena eliminato.

Cosicché, e per la seconda volta, a prescindere dal merito stretto dei fatti - visto che qui non ci si occupa minimamente di sentenze e processi ma ci si propone di osservare esclusivamente la politica e le sue scelte - ci si trova ad assistere all’indiscusso fatto che una politica italiana, risultata nel suo insieme corriva e sodale agli equilibri reazionari economici e sociali tuttora esistenti e tuttora dominanti, prova ad uscire dalla morsa del serio dissenso anche suo interno aizzando i propri aderenti alla estemporanea caccia al provvidenziale <criminale> politico di turno
Quasi a dire: ecco il responsabile di tutti i disastri nazionali economici e sociali che anche voi patite. Fatto fuori lui, siamo già bello a posto anche senza che molto altro cambi…

Ma il criminale di turno è anche alleato di governo. E che vuol dire, facciamo fuori lui dalla politica e ci teniamo i voti del suo partito per il nostro governo?
Forse vuol dire che siamo e rimaniamo una manica di ipocriti.

Chiunque, quantomeno un tantino onesto con sé stesso, nel momento in cui gli accada di vedersi alleato nel governo ad un partito il cui capo sia appena stato pesantemente condannato, da sempre dispone di una via maestra e limpida se quella condanna gli appaia meritata ed il capo altrui divenutogli a tale ragione adesso incompatibile: mette essa stessa, Forza politica eventuale, in crisi il governo a cui partecipa ritirando il proprio appoggio  a una maggioranza che scopre la associ adesso a un <criminale>.

Ma se chi eleva il patibolo per il capo alleato condannato, contemporaneamente intimi proprio al partito alleato: guai a far cadere il mio governo che dirigo che sarebbe un attentato alla nazione farlo cadere anche dopo che abbiamo politicamente eliminato il vostro capo, che conclusione ne traiamo?

E se dal Colle di Quirino anche un <sommo sacerdote> risulta che salmodia <sarebbe fatale se cadesse questo governo capo altrui o non capo>, che ne concludiamo?

E se i media riconducibili alla attuale rendita finanziaria industriale dominante nel paese si stracciassero le vesti perché il giustiziando faccia il bel gesto di mettere lui stesso la propria testa politica nel cestino del boia, ma non tolga l’appoggio al <prezioso> governo recessivo in carica, cosa ne deduciamo?

Per forza ne deduciamo che la Rendita parassita nazionale sta celebrando una sua seconda <messa nera> specularmene identica alla prima, e con stessi metodi e intenti di durare. A nostro stesso danno.

E per quale mai ragione vera avrebbe interesse ad inserirsi attivamente nell’altrui rito anche il maggior partito che si trova tuttora al governo proprio assieme al partito del capo <eliminando>?

Il partito in oggetto, appare estremamente consapevole che deve portare sino in fondo anche questa seconda svolta antisociale nel paese se vuol continuare a governare senza troppo cambiare. 
Incombe una Finanziaria imminente che sarà di recessione ulteriore evidentemente così rimanendo lo stato delle scelte; incombe soprattutto, questa volta, la richiesta perentoria altrui di assestare al lavoro anche un colpo normativo decisivo e coerente alla condizione subalterna reddituale che già subisce. E su tutto incombe un debito pubblico nazionale che, mentre i <risanatori> bugiardi ci sommergevano a tutti noi di tasse e tributi, passava intanto lietamente dal 124% sul pil del 2010 all’attuale 135%. E giungeva in cifra assoluta a 2100 miliardi di oggi che ancora non si ferma…

Venire a capo di questa matassa senza mollare la rendita, significa per forza dover fare scopertamente ora una politica anche apertamente antisociale da parte di chiunque governi. 
E se qualcuno ha già perso tre milioni di propri voti solo per aver appoggiato in parlamento il governo di Monti dall’esterno, non ci vuole molta fantasia a prevedere cosa gli accadrebbe adesso a farlo in prima persona. 

A meno che….a meno che, quel tale medesimo partito, apparso candidato alla gestione ancora adesso, non preveda di mutare profondamente la sorgente del suo stesso potenziale elettorato. 

Allora appare chiaro che sia proprio l’altrui capo alleato che politicamente ci intralcia, visto che ci si deve predisporre a traslocare in massa nel suo stesso potenziale elettorato. Più o meno come con le invasioni barbariche di un tempo antico: se ci dobbiamo prendere per noi terre già di altri, dovremo per forza prima travolgerne gli altrui presidi già li esistenti.
Ed in effetti nella nostra politica italiana, a prescindere dalla giustizia che qui osserviamo ora solo la politica per come si manifesta, pare essere in corso da ventenni come una incessante altrui migrazione biblica. Prima entro la socialdemocrazia di Craxi, e….fuori dai piedi Craxi che già la occupa; adesso verso le praterie elettorali del centro destra, e dunque fuori dai piedi colui…che già la occupa?

Congetture? 
Mica poi tanto, visto che solo così diviene comprensibile il vedere quella medesima forza politica già prepararsi a mettere in campo come proprio segretario la controfigura di Berlusconi; e visto che a capo del governo risulta avervi già posto la controfigura (assai peraltro più navigata) già di Monti.

Più seriali di così, in effetti non si potrebbe: stessi strumenti e stesse scelte economico sociali risultati attuati all’inizio ed alla fine di un ventennio (questo attuale nostro), e stessi identici rituali anche d’accompagnamento. Comprese pire, baccanti, e alti dignitari.

Può infatti anche capitare che un capo politico debba vedersi costituzionalmente <giustiziato>; tanto che capitò anche a Nixon.

Ma quando in Francia si alzò il patibolo su cui dovette salire il re appena deposto, l’esecuzione politica non la organizzarono i monarchici; ma un ceto totalmente nuovo che prendeva il potere anche a quel modo rovesciando altrui precedenti privilegi e le loro politiche economico sociali in favore dei propri ben diversi programmi di nazione.

Solo che ora, qui in una Italia per sua fortuna Non Violenta nei propri cambiamenti, dove sono i programmi alternativi economico sociali che propone chi alzi i patiboli? 
Chi li ha compiutamente proposti e scelti programmi concreti alternativi propri anche come forza di governo? Nessuno?

Qui in Italia, oggi, constatiamo invece che i due maggiori partiti che tuttora sostengono il governo Letta in carica, mostrano di condividere una medesima politica economica nazionale recessiva e di sottosalario che infatti assieme tuttora stanno attuando. 

Che grande cinico imbroglio, allora appare, tentare di sacrificare il socio politico più <grasso> del momento al dio pagano del potere corruttivo e parassita economico sociale vigente, e risultato anche condiviso nel culto, per propiziarne il favore del mantenimento….

Forse qualche forza politica si potrà magari risentire, ove si voglia riconoscere in un simile ritratto. Ma nessuno glielo ha imposto di voler gestire le scelte economico sociali parafasciste tuttora applicate a questa nostra attuale Italia. Forse avrebbe più da rincrescersi a domandarsi cosa mai ci faccia, una forza politica che si dichiari popolare, a gestire questa autentica robaccia reazionaria di consapevole miseria collettiva indotta.

Perché poi, c’è poco da esercitarsi in distinguo mediaticamente magari ben protetti.

La sostanza resta questa, e le domande che propone anche:

L’ingresso in euro ha coinciso o no con una colossale svalutazione del potere d’acquisto precedente, Si o No?
E quella svalutazione mai detta, ha colpito soprattutto lavoro e pensioni normali ed il loro potere d’acquisto preesistente mai recuperato? Si o No?

E la recessione ancora in corso, coincide con una seconda anche essa ancora in corso consistente svalutazione di fatto dei redditi fissi e di lavoro preesistenti? Si o No?

E se le risposte eventuali attengano più ai Si che ai No, allora che ci fanno forze che si richiamino alla tutela della equità e del lavoro dentro una robaccia iniqua, e dannosa per tutti come questa, che hanno gestito e che risulta gestiscono tuttora in prima persona?

Ma la seconda svalutazione ancora in corso dell’euro interno italiano, conseguita questa volta tramite una Recessione intenzionale pluriennale, ha generato un fatto nuovo politico sociale enorme.

Oltre al Lavoro equo ed i suoi redditi, la attuale svalutazione da recessione sta sterminando una moltitudine sempre più crescente di imprese e aziende medio piccole. In specie le aziende e professioni a prevalente orientamento verso il mercato interno italiano.  
E perché questa volta ha corrisposto una strage sterminata anche di imprese e professioni alle scelte consuete della rendita parassita che ci governa ancora adesso?

Perché in un mercato detto di massa proprio perché ha milioni di utenti, e quello italiano lo è, non puoi ridurre in miseria troppa parte degli stessi clienti senza che chiudano poi aziende e professioni le quali servono quello stesso mercato e clienti.

In pratica, la rendita parassita economico politica italiana che tuttora ci governa a proprio piacimento, trovatasi a corto di risorse pubbliche visto che non può più espandere illimitatamente il debito pubblico per provare di comprare anche il dissenso, si sta comportando come l’equipaggio di una grande nave vistasi a rischio d’affondamento, che prenda prima per sé gli insufficienti salvagente e mandi consapevolmente ai pesci la gran parte dei viaggiatori paganti.

E il vestito della spesa pubblica parassita è divenuto così corto, che questa volta la Finanza e grande industria italiana dominante, e la politica corriva che tuttora la serve, assieme ai redditi fissi di Lavoro e Pensioni e piccoli risparmi personali, ha mandato senza rimorsi consapevolmente a mare anche la quasi totalità della media e piccola Impresa nazionale inclusi commerci e professioni.

In pratica la nostra Italia attuale ha avuto come un suo oroscopo presago nella Costa Concordia sugli scogli del Giglio.
La grande nave si rovescia, tutti i passeggeri finiscono in acqua e non tutti incolumi, ma quando arrivano comunque a terra in qualche modo i naufraghi stremati e rimasti privi di ogni loro bene, hanno la sconcertante sorpresa di trovare già all’asciutto comandante e un pezzo di  suo comando della nave. Loro la scialuppa l’avevano trovata e per tempo. Gran parte dell’equipaggio più modesto e la totalità dei passeggeri messi a rischio proprio dalla incauta conduzione della nave, invece no.


La nostra recessione attuale è infatti soprattutto una crisi da povertà di massa; e proprio a tale ragione risulta una crisi pressoché tutta italiana nostra questa volta.
Perché la cattiva politica che la ha evocata questa crisi, risulta nostra, cioè del nostro stesso equipaggio di comando.
Perché la cattiva politica che la ha anche attuato questa condizione attuale recessiva, risulta nostra; cioè del nostro stesso equipaggio di comando.
Perché la miseria e povertà di massa che questa medesima politica ha evocato ed evoca, risulta la nostra; di tutti noi passeggeri già fiduciosi a bordo confidando in un bel viaggio….

Ecco allora che, come alla caduta del fascismo storico, anche questo parafascismo economico sociale nazionale attuale di ritorno, ha però finito per aggregare – e proprio grazie alle sue ultime condotte - in un vitale interesse comune ad opporglisi la stragrande maggioranza della nazione vera: quella del Lavoro e quella dell’ Impresa soprattutto medio piccola. 
La quale alleanza positiva delle Forze produttrici di ricchezza reale condivisa – come sono appunto Lavoro e Impresa – vistasi messa brutalmente in acqua senza distinzione da Comandanti felloni a tradimento, ha  però la forza numerica ed elettorale, se sarà coerente e se sarà coesa nella comune vitale difesa, di imporre una nuova politica economica e sociale a beneficio della nazione intera.


E quando potremo pensare che si stia veramente invertendo la rotta della politica economico sociale di questo nostro ventennio ultimo?
Soltanto quando si inizierà a riequilibrare i redditi del Lavoro; e quando si renderà concorrenziale l’impresa ritornando a favorire anche ricerca ed innovazione ed investimenti, rinunciando alla <droga> di Stato del sottosalario come unica risorsa.

Una nuova politica economico sociale condivisa che può essere attuata immediatamente nel comune interesse, reso solidale, di Lavoro e Impresa.


Una nuova Politica economica che si fondi su Lavoro (sia quello dato e quello chiesto) e Sviluppo; Lavoro e Sviluppo da rianimare immediatamente con un vigoroso taglio di tassazione appunto al Lavoro e Pensioni normali e Impresa e Professioni, contemporaneamente.

Infatti il forte taglio della tassazione sui redditi di Lavoro (- 40% in un biennio) e Pensioni normali, interromperà ed invertirà la perdita di potere d’acquisto che tuttora il reddito da Lavoro (e pensioni normali) invece continua a subire;
Mentre l’altrettanto forte taglio ai costi attuali accessori d’impresa (via Irap e via 6 punti al costo contributivo del lavoro, e anche questo su un biennio) restituirà la capacità iniziale di nuova concorrenza esterna ai prodotti nazionali; mentre contemporaneamente ci si riposiziona su ritrovata imprenditorialità d’investimenti e di innovazione complessiva che assieme alla rinnovata produttività offriranno la competitività nostra di lungo periodo.

E un simile percorso di rilancio positivo italiano, detassando, consentirebbe anche di poter vedere che chi attua invece scelte economico sociali reazionarie come sono tuttora le attuali, lo fa per vocazione e non certo per mancanza delle immediate concrete idonee alternative.

E che un simile progetto di rilancio complessivo dell’economia nostra italiana non sia affatto stravagante, si incarica di mostrarlo il soggetto forse più inatteso. Così infatti si poteva leggere a pag.45 del Corriere della Sera di domenica 15 settembre,  nell’occhiello al centro dell’articolo di Danilo Staino: <la Cina ripensa il suo sviluppo. Salari più alti per aiutare il mercato interno>.


Intervento di rilancio finanziato da un corrispettivo taglio nel bilancio pubblico nostro italiano (non nei servizi) – dentro bilanci pubblici centrali e periferici in pareggio - che cessi pertanto di alimentare prevalentemente la rendita e promuova esso stesso la crescita nel solo modo oggi compatibile; 

e interventi di rilancio accompagnati da un complessivo progetto di riforma coerente nella gestione dello Stato e delle Autonomie e tutelato da una immediata riforma elettorale proporzionale che garantisca tutti gli italiani e le italiane indistintamente. E che faccia ritornare a governare soltanto le maggioranze vere elettorali.


E la rendita parassita nazionale?

Pare che al momento sia molto impegnata nell’ennesima sua rivisitazione precedente e che ci siamo già detti. Tra i due partiti che sostengono l’attuale governo ancora della rendita parassita, pare infatti essersi ingaggiato uno scontro assimilabile a quello del Gran Consiglio che avrebbe archiviato quello storico di fascismo italiano.
Di colpo in colpo, salvo sorprese, sfasceranno tutto a colpi incessanti sotto e sopra la reciproca cintura.

E noi? Abbiamo tutt’ora il voto, quanto prima sarà possibile, usiamolo. Per un progetto di nazione condiviso.

Ed archiviamo definitivamente noi, elettrici ed elettori, una rendita parassita parafascista la quale ci ha sino ad ora afflitto per un nuovo attuale ventennio di troppo.


La stessa Impresa e Finanza italiana, sembra trovarsi dinanzi ad un loro grande passaggio: mostrare concretamente come la Rendita parassita che ha afflitto la nazione sino ad ora non è affatto tutta l’Impresa e tutta la Finanza nazionale. E farsi dunque anche essa portatrice del nuovo necessario.
L’Italia che si rilanci e rinnovi nella equità e nel lavoro, ha infatti bisogno anche della propria Finanza nazionale leale e costituzionale. Ed a questa nostra medesima Finanza e grande industria leale, l’Italia che si rinnova sarà interamente amica e solidale. Una sola Italia entro un solo comune progetto dove tutti i componenti del patto produttivo condiviso sono pari.

E certi che ciò avvenga, come ci condurremo, verso quella parte di finanza ed economia nazionale che ha sostenuto ed alimentato questo regime reazionario già ormai cadente e già oramai sconfitto?

Come si sono comportati i nostri connazionali durante la caduta del fascismo storico.
Furono infatti allora le forze del Lavoro, e le forze della Società civile avversa al fascismo storico, che presidiarono attivamente le fabbriche del nord affinché un ex alleato in rotta non le saccheggiasse irrimediabilmente e affinché i nuovi alleati nella democrazia non le spianassero di bombe nel liberarci.

A quella parte di industria fascista vera di allora, la democrazia italiana vera di allora fece personale ed anche fisico scudo perché l’Italia industriale non regredisse di un secolo deindustrializzandosi completamente assieme al crollo del regime. Quanto all’economia e la finanza prevalente italiana di allora rifiutò anche essa il fascismo vero e si alleò al lavoro vero. L’alleanza necessitata accadde, nel comune interesse reciproco e della nazione intera.

Questo, evidentemente, vale anche per le tante forze positive che di certo sono ospitate anche dentro gli attuali partiti o movimenti che ancora sostengono attivamente, dal governo, la rendita parassita a discapito di Lavoro e Impresa.
Se possono, provino a virare verso lo sviluppo equo anche i loro stessi partiti e lungo un percorso che porterà ad incontrarsi tutte le persone di buona volontà di ogni età e sesso e di ogni provenienza; e non si lascino distogliere da esecuzioni rituali che il nostro regime risulta attuare ogni qual volta deve stangarci meglio.

E forse potrà aiutare la eventuale personale silenziosa riflessione anche una privatissima quanto decisiva autodomanda: 
ma la mia personale situazione economica e sociale, in cosa cambierà visibilmente in meglio dopo che abbia presenziato al rogo del <nemico> di turno? Crescerà la mia possibilità di lavorare, crescerà il mio reddito in proporzione al mio impegno, crescerà la mia speranza di farmi un tetto e mantenermelo lavorando, crescerà la speranza di veder riconoscere il merito a chi dei miei cari studi per prepararsi meglio, sarà meno solitaria la mia condizione di essere anche Donna e magari madre lavorando?
Se la risposta privatissima fosse: in niente veramente la mia vita cambierà se non nella mia foto ricordo dell’avvenimento, se la privatissima risposta risulterà che chi più pare si agita attorno ai roghi politici altrui non ha però contemporaneamente mai proposto un proprio concreto progetto alternativo complessivo di nazione condivisa rispetto a quello che tutt’ora sta gestendo e proprio assieme al <giustiziato> di turno, avranno anche risposto - dentro di sé sempre in silenzio -  che quello stesso accadimento d’esorcismo nasconda in realtà un solo grande imbroglio
Offrire un <capro espiatorio> alla giustificata collera di tanti di noi, perché per tantissimi di noi niente cambi in meglio.

Se poi gli apparisse troppo tardi per riuscire a cambiare dall’interno i loro stessi partiti o movimenti, pensino allora anche essi a nuove possibili forme condivise di rappresentanza elettiva e gestionale e per un medesimo collettivo disegno positivo.
Prima che sia tardi. Per salvaguardarci un futuro decente per tutti.
Perché risulta sia arrivato il tempo delle scelte. Per ciascuno di noi italiane ed italiani, nessuno di noi escluso.


Ah, dimenticavamo.
Abbiamo esaurito con quanto sopra proposto la intera rievocazione della <serialità> che sembra affliggere il nostro regime politico economico ventennale attuale?

A pensarci bene, non risulta che l’abbiamo affatto esaurita la casistica della impressionante tendenza a reiterare del nostro Regime anche politico attuale.

All’inizio più o meno di questo ventennio nostro ultimo, accadeva infatti un altro decisivo evento epocale.
Accadeva infatti che, eliminati in un modo o nell’altro gran parte dei partiti politici presistenti, giustiziato politicamente sulla piazza anche l’allora capo di un allora partito seppur  altrui alleato nel governo, risultato individuato il beneficiario gestionale potenziale della nuova economia reazionaria, dal cilindro imprevedibile della Storia, di quella recente italiana di Storia, uscì  però proprio a quel momento il più inatteso dei risultati.

Una nuova forza politica irruppe sulla scena politica italiana, e, da velocista, brucio quasi sul traguardo il metodico passita apparso ai più già predestinato. E che così fece buon viso (si fa per dire) a cattiva sorte di dover proprio egli salire da Secondo sul podio dell’alloro.
Grande sfortuna altrui?
Forse anche; ma forse anche una scelta precisa della maggior parte dell’elettorato italiano che mostrò non essere rimasto poi così incantato da quella che alla fin fine gli deve essere apparso come un colossale imbroglio cinico di Stato. A suo stesso collettivo sostanziale danno.


Abbiamo allora già compreso, vero, cosa risulta manca ancora perché la reiterazione di inizio ventennio attuale appaia esattamente e nel suo intero speculare alla fase attuale di regime che stiamo vivendo?
E se accadesse di nuovo  che la maggioranza dell’elettorato italiano reiterasse anche esso la risposta che pare fornisse già appena un ventennio addietro ai troppi allora astuti anche di Stato?
(e non pensiamo a una neo Forza Italia tanto più che come abbiamo provato di vedere assieme la politica italiana effettivamente mostra si che reitera nei suoi comportamenti, ma non mostra affatto che si clona)

Certo che indubbiamente, a quel punto di futuro nostro prossimo eventuale, allora si che anche la reiterazione politica italiana attuale sarebbe totale e speculare alla già precedente.

E qualcuno si potrebbe ritrovare, nonostante tanti Aruspici e Indovini apparsi non proprio disinteressati a fare attivamente il tifo, a fare collezione di medaglie….come secondo miglior arrivato?

Un incubo da togliere il sonno a molti, in effetti, a pensarci bene, questa storia della coazione economico politica italiana scoperta a reiterare il proprio recente stesso passato.

Perché chi si potrebbe mai fidare che anche questa volta l’economia e la politica italiana si scopra che reiteri in tutto, ma proprio in tutto del suo stesso recente passato, ma contemporaneamente giurarci che non reiteri adesso anche l’elettorato nel suo già  inatteso finale politico?
Una bella scommessa indubbiamente il dirsi: si, si sta reiterando in effetti tutto, ma…quello soltanto di certo non risuccede reiterato…..






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