giovedì 30 agosto 2012

quei minatori Sardi parlano anche di noi

di sicuro ne siamo già a conoscenza di quei minatori Sardi che sono scesi nella loro miniera, a rischio di chiusura, a difendersi anche così il loro Lavoro.
Giusto, sbagliato?

la lotta dei minatori sardi pare risultare, più concretamente: lotta per il DIRITTO AL PANE.

Inteso, il  pane, come l'essenziale per ritenersi un Essere umano normale, che assicura tetto e cibo, e magari anche istruzione, a sé stesso e ai propri cari.

E questa condizione, che piaccia o dispiaccia, lo assicura, a noi normali persone, solo un LAVORO dignitosamente equo.

Se non si imboccano strade malavitose personali, o scorciatoie tanto azzardate quanto precarie, il <Pane> lo assicura solo un Lavoro personale.
E in questo senso, i lavoratori Sardi, credo di comprenderli; e di sentirmici anche vicino.
E non vorrei che magari si cadesse nell'eventuale errore di considerarli <retroguardie> di un mondo ancora recente ma presunto perso.

Perso, per ora, forse si.

Ma quei lavoratori, in miniera a esprimere la loro disperazione esistenziale (che poi, non è mica credo che siano scesi per dire, o miniera o morte; credo siano scesi per provare a dire, o Lavoro o morte. Ma l'altro Lavoro eventuale, per essi, dove è?) personalmente ritengo siano invece AVANGUARDIE.

Di un mondo reale anche in Italia che riscopre il suo lavoro come strumento esistenziale. Nel senso pieno del termine.


Il Lavoro, anche in Italia, non credo sia affatto finito come strumento irrinunciabile di vita umana personale; diciamo che, in questi decenni, qui da noi, piuttosto, se non l'hanno ucciso, pare certo <ferito grave>. Ma sono state e restano scelte fantasiose, pretendere di condurre una nazione senza speranza di Lavoro anche personale.


Anche un uomo credo Emiliano, recentemente, dopo una terribile espressione di angoscia di senza lavoro dandosi fuoco dinanzi a Montecitorio, pochi giorni fa spirava. Cessando così la sua esistenza ed i suoi affetti.

Una Classe Dirigente risultata ignava, e non parlo di politica che pure ne risulta in così larga parte la <mosca cocchiera> (quella che stava sull'orecchio del bue impegnato nell'aratura e che si compiaceva sussurrandogli: se non ci fossi io non ce la faresti mai...), risulta avere liquidato il tutto in note di colore.
In effetti, appare difficile rappresentare in bianco e nero un uomo in fiamme.


Ma quell'Uomo non appare, come i Sardi, un dinosauro che si oppone all'estinzione.

Pare invece piuttosto il ragazzo Praghese, Jan Palach era il suo nome fissato per sempre nel sacrificio dell'ammonimento testimoniato (che per inciso causò il mio battesimo d'ingresso nel politico-sociale), che ardendo sulla Piazza di Praga accanto ai Carri Armati della ottusa arroganza, preparava già il Nuovo. Che venne.

Ma in quelle Miniere Sarde, e nella Piazza di Roma, credo che, proprio tramite l'altrui testimonianza di dolore, già si prepari, e si annunci anche incontenibile, molto più del Nuovo, e anche di noi tutti, che non oggi a Montecitorio.


Un affettuoso saluto a chiunque, donna e uomo indistintamente, ritiene e testimonia oggi, ovunque, anche nel suo particolare personale, che non vi può essere nazione, che non vi può essere democrazia reale anche personale, senza un Lavoro equo individuale da poter sognare. E operosamente, anche Realizzare.












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