Nel sito del Movimento Popolare del Lavoro, alla voce Coordinatore, vi si trova già un
brevissimo cenno al coordinatore attuale di MPL.
Ma
nel caso appunto di MPL, magari può capitare anche di potersi chiedere: ma
quale storia personale e di vita anche individuale c’è dietro a quel nome di
attuale coordinatore del Movimento Popolare del Lavoro?
Così
come ci si potrebbe ancora chiedere: Ma per quale mai ragioni e motivazioni
anche personali un uomo come chiunque di noi italiane ed italiane, e nemmeno
più giovanissimo, si sarà <imbarcato> in una simile iniziativa sua
pubblica che di certo non gli renderà la vita privata personale più tranquilla?
Effettivamente potrebbe risultare opportuno, oltre che forse anche gradito, poter disporre di qualche informazione in più al riguardo. Meno spartana e forse ora più di dettaglio. Per chi si affacci a MPL.
Proviamo allora a trovare le relative risposte adesso assieme. Se appare gradito farlo. In un colloquio tra persone, senza reticenze e…senza rete.
Quando
si prende infatti una posizione pubblica, come anche nel mio caso accade,
appare allora doveroso che divenga altrettanto pubblico l’identikit di chi
l’assume.
Questa
diviene pertanto la prima volta, e credo che resterà anche una delle ultime, in
cui racconterò di me.
Intanto,
alla curiosità eventuale di quale volto possa esservi dietro Mario
Staffaroni, lo stesso poi che adesso
anche qui parla, proviamo a risolvere da subito .
Ecco
dunque come sono alla… macchina fotografica che mi ha preso nella mia piccola
attività recettiva che svolgo. E di cui vivo.

Aggiungiamoci
adesso quella che la foto non dice, anche se lo si intuisce.
Anni 65, che prima della fine di questo mese cresceranno. Infatti 21 ottobre 1947 è la mia data di nascita. Bilancia, per chi ami i segni.
Anni 65, che prima della fine di questo mese cresceranno. Infatti 21 ottobre 1947 è la mia data di nascita. Bilancia, per chi ami i segni.
La
mia piccola storia di vita precedente all’iniziativa di MPL?
Da
bambino delle Elementari, e poi di nuovo ragazzetto delle Medie, una esperienza
personale teatrale. La prima era un’Operetta musicale.
L’altra
esperienza di teatro emergerà nella Filodrammatica Salesiana locale. Con una
parte diversa e ben più drammatica. Impersonavo la vita adolescente del nostro
Patrono. Angelo. Un piccolo pastore che, un giorno uscendo, travolto in un
accesso di collera incontrollata, augura la morte alla propria madre. Ed al
ritorno, se la ritrova…morta.
Qui
finiva la mia parte. Ma per quel giovane pastore era invece l’inizio di una
vita di eremitaggio e di preghiera.
Perché
ne ho parlato? Perché l’esperienza di rivolgersi ad un teatro pieno e che ti
ascolta, che tu non vedi contro le luci del palco, ma che ti avvolge anche nel
suo applauso se si sente partecipe, rimane unica anche come esperienza di vita.
Credo
che si sarà ormai anche compreso che la mia formazione giovanile è intervenuta
presso l’Opera Salesiana allora nella mia città. La mia formazione umana, e
sociale. E’ stata e tutt’ora resta cattolico/cristiana.
Perché
allora, a me, e in vero anche a tanti altri di ragazze e di ragazzi assieme a
me, appariva più che bastante <ama il prossimo tuo come te stesso> per
tentare di operare anche nel sociale.
No,
non sono praticante, ormai da tempo. Anche se continuo a ritenermi Credente. Le
mie radici restano tuttora cattolico cristiane- Ma mi sono sposato in
Municipio. E’ a quel tempo più giovane, che oggi comunque appartiene la
formazione di quegli stessi valori personali e collettivi condivisi in cui
ancora mi fondo. E mi riconosco.
Poi, sul finire degli anni sessanta, una prima svolta.
Mi
inserisco nel sociale politico giovanile dell’allora Partito Socialista
Italiano. Vi ero entrato con l’intenzione di partecipare a cambiare e rinnovare
sia nelle persone che nei suoi programmi la amministrazione comunale della
città in cui vivevo e vivo tuttora.
Questa
spinta al rinnovamento nostro amministrativo,
allora, vedeva la partecipazione di tantissimi ragazze e ragazzi più o
meno miei coetanei. Non erano, le loro,
appartenenze di partito. Erano anzi orgogliosamente, e anche si dichiaravano
tali, solo espressione attiva della società civile. Attraverso un Movimento che
si chiamava, appunto, Movimento Giovanile. E, quasi per tutti, la fonte prevalente
della nostra formazione era stato l’associazionismo cattolico.
Cosa
facevo io, rispetto a loro, ed a quel movimento a cui pure io appartenevo?
Soprattutto il condiviso <garante> che la politica locale non tentasse di
strumentalizzarci nelle nostre istanze. Ed attività. A cominciare dalla piena
libertà ed autonomia di quei giornalini con cui ci si esprimeva e ci si
riconosceva. Giornalini, pare una parola grande per quei fogli di propri
articoli auto ciclostilati e poi pinzati, di notte. Dagli aderenti al
Movimento. E la domenica mattina venduti a mano sulla piazza e le vie del
centro di paese. Copie che peraltro,
dopo le prime incertezze, cominciarono ad andare letteralmente a ruba da parte
degli adulti di ogni estrazione. Perché non erano solo la voce dei ragazzi e
ragazze, ma esprimevano aspirazioni ed istanze largamente condivise pressoché
da tutti. Ma, che ancora, le tacevano. In pubblico. Gli adulti.
Per farla breve, l’iniziativa di quel Movimento ebbe tanto progressivo successo tra la comunità nostra di comune appartenenza – anche perché esprimevano una voglia mal repressa collettiva anche adulta e socio economica di grandi cambiamenti verso lo sviluppo troppo rinviato – che alle prime elezioni successive, 1970, mi trovai catapultato a Consigliere Comunale, ed Assessore del mio stesso Comune.
Mentre
su quella stessa spinta, tanti altri ragazzi e ragazze più o meno miei
coetanei, emergevano ora anche essi dentro gli eletti anche degli altri partiti
democratici di quella amministrazione nostra comunale.
Amministrazione
Comunale, il cui anziano Sindaco, in carica ininterrottamente dal dopoguerra, apparteneva
al mio stesso Partito Socialista. In una Giunta di centrosinistra dove mi
ritrovai giovanissimo Assessore al Turismo, e ad imparare cosa fosse una
Delibera ed un Bilancio ed il Denaro pubblico.
E si
provò, per oltre un anno, a cercare di rinnovare il modo di amministrare dall’interno.
Ma non funzionò.
Indipendentemente
dalla assoluta rettitudine, e buona fede, di chi lo guidava quel Comune. Ma, potrei dire, tanto più ora che ne ho personalmente
assai rivalutato la figura, quell’allora anziano sindaco, non risultava sentire,
per così dire, la domanda di sviluppo e crescita che veniva sempre più pressante
dalla pressoché intera comunità nostra; non interpretava la spinta straripante
dei tantissimi giovani coetanei che volevano partecipare, volevano sperare di
crescere e lavorare li senza emigrare.
Finché, agli inizi del 1972, noi giovani socialisti, rovesciammo la Giunta per aprire ad una nuova alleanza di sinistra: PSI e PCI, infatti. Deponendo il nostro stesso sindaco, per farlo. Ed insediando a Sindaco un mio coetaneo, ed amico, oggi purtroppo del tutto prematuramente scomparso.
Ci
ritrovammo così, nella mia cittadina, col Sindaco allora più giovane d’Italia.
In una Giunta largamente giovane anche essa, ed io ora ai Lavori Pubblici.
E partì così, concretamente, il piano condiviso di rilancio economico sociale della nostra città.
Furono
gli anni delle nostre zone industriali, delle numerose nuove aziende, medie, e
della piccola impresa artigiana.
Furono
gli anni dell’investimento forte su Cultura, Scuola e Servizi ai Giovani ed
alla Donna che lavora. Si moltiplicarono gli asili nido, le scuole materne, il
tempo pieno, i trasporti scolastici. E furono anche i tempi delle Mostre d’Arte,
dei Corsi di Qualificazione alta di Maestranze.
Come
stavano i nostri bilanci?
Direi
bene. Non nel pareggio, che allora non era richiesto, anche se i nostri Bilanci
li approvava prima il Prefetto e poi il Coreco. Avevamo però un disavanzo
sobrio; avevamo fatto un bel mutuo, e che ci faceva da volano per il Programma
che attuavamo. Poi, anche tanta fantasia e impegno: c’era da incentivare una
nuova azienda concedendogli terreno urbanizzato? Andavano a volte i nostri
mezzi anche a spianare il terreno d’impianto industriale.
Una
nostra cifra con cui già eravamo andati alle elezioni? Partecipazione sempre:
tramite riunioni, assemblee e quanto altro funzionale. Dove si informava di
tutto, ma si decideva poi anche assieme. Eravamo un’Amministrazione serale,
direi, itinerante. No, all’inizio non fu una cosa semplice. Ci accoglieva quasi
sempre un silenzio diffidente. Che poi qualcuno esplicitava come uno schiaffo:
siete venuti come gli altri a promettere, e..poi…non vi vedremo né sentiremo
più sino alle prossime elezioni…?
Tutto
cambiò, e divenne amicizia anche con chi non ci avrebbe mai votato, quando le
cose assieme decise diventavano poi attuate e anche nei tempi detti.
Ma le Consultazioni popolari aumentano gli sprechi?
NON
E’AFFATTO VERO. E non è affatto detto.
Quelle
riunioni, con la nostra gente, decidevano tranquillamente, ed unanimemente, per
fare un esempio, che non si sarebbero subito migliorate le illuminazioni dei
quartieri. Perché adesso si doveva prima illuminare la Zona Industriale per
creare nuovo Lavoro.
E
quando si spianava un’area per aziende, in genere assisteva una piccola folla
lieta e partecipe.
Quante
volte quelle stesse riunioni hanno deciso assieme <questa cosa quest’anno
non si fa, non ci sono i soldi>; ma la faremo appena possibile….
E di
questo nuovo sentimento positivo che sorgeva e si rafforzava ben oltre i
partiti, ve ne racconto adesso una per tutte: in una nostra frazione vi era una
nuova <scuola> che portava il suo cantiere da una legislatura all’altra.
Più o meno, ad ogni legislatura un paio di giri di muratura dal suolo. E, poi,
immancabile stop.
Sicché
adesso i muri si alzavano incompiuti ormai da anni di un metro forse scarso dal
terreno.
Si
decise assieme alla popolazione del posto che serviva e che sarebbe stata
dunque terminata rapidamente la struttura. Ecco che accadde alla decisione
collettiva. “Allora…quella pianta di ciliegio che c’è cresciuta in mezzo alle
fondazioni…non la innestiamo più; che ormai …se deciso che la tagliamo..” E fu
una risata comune liberatoria, ed una festa di paese alla scuola aperta come e
quando previsto.
Comunque,
la cura ad una città che non voleva far altro che uscire dalla sua stagnazione
precedente e correre a crescere in Lavoro per primo, nell’insieme andò bene.
Entro
un triennio circa, non solo già non si emigrava più dalla mia città verso
l’esterno. Ma rientrarono piuttosto a lavorare a casa ormai migliaia di persone
dall’estero o dal nord dell’Italia. E la città si ritrovò lungo il suo percorso
polo regionale di sviluppo con popolazione sua crescente. Certo, fu soprattutto
di sicuro per merito dei miei colleghi e del mio amico Sindaco troppo presto
oggi mancato. Io, ero solo, uno tra di essi. E con un comune Progetto
condiviso. Tra noi, e con la nostra gente.
Ma, dopo le elezioni del 1975, lascio di mia intenzione la Giunta Comunale.
Perché?
Mi ero sposato, da studente universitario -Medicina, e la nostra vita fu
allietata già presto da una bimba.
Pensai,
dunque, che se mi fossi stabilito a Perugia con la mia famiglia, mi sarei forse
Laureato prima. Non fu così. E si rivelò un errore in tutto.
Furono
infatti, quelli, anche anni di una mia depressione. Che mi portò anche a varie pasticche colorate. Ma non passava. Finché,
ebbi la fortuna di conoscere un Artista – e non solo - di San Vito Romano, che
mi divenne anche caro amico. E a poco a poco, in quel percorso umano assieme, tutto
svanì. Farmaci e malinconia soffocante. Ma gli studi, non furono fortunati come
me… Interrotti a pochi esami ormai dalla Laurea. Così, oggi, per la statistica
resto, e per mia colpa, un diplomato di Liceo. Classico.
Ma la Politica torna a bussare. 1980.
Miei
amici di partito effettuano una sorta per allora di primarie tra tutti gli
iscritti. E così emerse che avevano trovato una larga richiesta che mi
candidassi Capolista alle imminenti Comunali.
Così
avvenne. E siccome andarono anche più che bene e con aumento anche di nostri
seggi, mi ritrovai Sindaco. Della mia città. La cifra della mia campagna,
assieme ad un Programma operativo condiviso? Efficienza, trasparenza, rigore
morale.
Ci
avviammo così ora a razionalizzare, e completare, i grandi sforzi attuativi
della Legislatura precedente, a deregolamentare, a dare tempi certi di
risposte, a dare ora ampio spazio anche alle esigenze del tempo libero Giovane.
Ma
l’assetto politico interno al mio stesso partito e che ritrovai, rientrando,
non era più quello di quando avevo lasciato. Anche perché forse io scontavo un
peccato originale, almeno per alcuni, come poi emerse. Non avrei dovuto essere
io quel sindaco. Che invece era risultato previsto già attribuito ad un diverso
di Partito.
Sia
come sia, neanche dopo un anno, mi trovai le maggiori incomprensioni proprio
col mio di partito.
La
Giunta aveva consenso tra la popolazione. Ma il Sindaco, diveniva sempre più
solo tra i dirigenti del proprio stesso partito. La componente socialista porta
i confronti interni di partito sino al consiglio comunale anche contro il
proprio sindaco. Dovevo ormai scegliere. Finché, quando vidi che quella
conflittualità divenuta manifesta di alcuni si ripercuoteva ormai sempre più
sulla operatività dell’Amministrazione stessa, mi dimisi da Sindaco in
Consiglio. Nell’autunno del 1982.
Dichiarando
al Consiglio che, non disponendo più della fiducia – e della collaborazione - del
mio stesso partito, e poiché questo mi stava impedendo di portare avanti il progetto
su cui ero stato eletto, nell’interesse della stessa città, lasciavo.
FINE DELLA POLITICA ATTIVA O MILITANTE.
Da allora, sino ad oggi, infatti mai più un incarico. Mai più da allora un partito d’appartenenza.
Senza
per questo mai divenire ostile, e tanto meno nemico, a chi nel tempo mi
succedeva. La mia cifra silenziosa di pensare diveniva infatti, da allora, e
ancora adesso, e per mia scelta, una massima che lessi attribuita agli USA
<c’è un presidente, ed uno solo, per volta…>
Nel 1986,
arriva una nuova esperienza. E del tutto diversa.
Un
gruppo di maestranze in licenziamento di una piccola azienda privata appena
chiusa, mi coinvolge nella costituzione di una aziendina cooperativa per
prendere in affitto dalla Curatela immobile ed impianti. E così avvenne.
Un’esperienza
durissima iniziale. Imparare azienda, rifare da zero mercato e rinnovare e
riattivare impianti. Si barcollò
alquanto, i primi tempi, per trovare un equilibrio, ma, con tanti sacrifici
collettivi comuni, al fine la <barca> tenne il mare. Tanto che, nel 1990,
l’azienda risultò finanziabile per un suo nuovo stabilimento. In un Comune
accanto. Che dove eravamo, ci vedevamo intanto sfrattati.
A
tempo di record fu alzato il nuovo stabilimento pertanto. E poi, una migrazione
per così dire biblica a lavori ancora in parte in corso di completamento.
Migrazione di macchine, magazzinaggi, uffici. E quanto altro….
Basti
pensare che, per quasi quattro mesi, si lavorò a Generatore elettrico presso la
nuova sede. Che la rete adduttrice elettrica era in completamento.
Ne
uscimmo vivi. Aziendalmente. Pur se stremati, anche finanziariamente dopo uno o
due mesi di fermo pieno e poi di attività a scartamento ridotto.
Mentre
ci si leccava le ferite, aziendalmente parlando, venne dall’Associazione di
allora appartenenza una proposta che apparve più che ben venuta. In sostanza,
c’è una grande Azienda consorella che potrebbe affiancare e sostenere il lancio
del nuovo stabilimento, in una logica ravvicinata anche di sua partecipazione.
E’
però così grande ed importante, che la gestione operativa gliela affiderete in
questo contesto…
Bene,
che problema c’è? Un’azienda cooperativa non ha riserve a farlo con una
consorella. E quell’allora presidente, che ero io, cedette la Ordinaria
amministrazione all’inviato della grande sorella.
Ho
poi avuto, quasi venticinque anni per pentirmene amaramente. Da allora, era
infatti il 1991, ad ancora adesso.
In
un lampo, da presidente pur se solo adesso formale e senza poteri, comincio a
intravedere segnali strani, comincio a dover constatare il rifiuto totale a
qualunque condivisione di conoscenza e informazione. Persino nel bloccaggio
delle porte. E allora, chieste e non trovate nessuna di risposte neanche in
sede di Consiglio di amministrazione, lascio quella carica ormai neanche più formale
che risultava per altri non dover
nemmeno sapere.
E che cosa non dovevo sapere?
Che
in pochi mesi, come ipotizzarono poi dei PM che se ne occuparono, anche se finì
in successiva supposta prescrizione, a ritenuto indebito vantaggio di terzi
risultati consenzienti l’azienda era stata totalmente smantellata e svuotata
sotto ogni aspetto preesistente, diciamo così. Lanciandola, intanto, in una
richiesta di Liquidazione Coatta Ministeriale e di pretesa liquidazione
volontaria.
E i
suoi garanti presso le banche di cui allora disponeva, risultati lasciati in
questo modo ora esposti all’escussione delle garanzie personali prestate in
precedenza a favore dell’azienda stessa.
La
reazione, a cose divenute note, assieme anche agli altri garanti, divenne
estrema. Anche per salvarsi. Lavoro e beni personali privati.
Come
finì, allora? Il Ministero competente negò formalmente che esistessero
presupposti di leggi per decretare sue liquidazioni coatte; e infatti le
rigettò ai richiedenti. Il Tribunale stesso, alfine, nel 1992, revocava la
precedente liquidazione volontaria avviata da altri. Che poi erano gli stessi.
Tutto bene?
Tutto bene?
Affatto.
L’aziendina che così adesso riemergeva dalla revoca di liquidazione, era come
una nave disalberata dopo un uragano. Niente più suo mercato, niente più
clienti precedenti, niente più mutui intanto revocati, niente più fidi rimasti anche
essi revocati, dalla liquidazione precipitosamente
imposta, e così finiti sulle spalle personali dei garanti. Dei quali, uno, e
dei più colpiti, risultai e risulto tutt’ora io.
Una
lotta impari, in un dissenso apparso ostile dell’intorno, accompagnò il
tentativo dell’azienda di recuperare il suo mercato, i suoi finanziamenti ed i
suoi fidi bancari. La sua possibile esistenza. Non ne venne niente. Poi, sul
finire degli anni 90, sopraffatta nel contenzioso del credito degradato che le
era stato da altri suscitato nei modi che vi ho già raccontato, la piccola
azienda cooperativa si spense silenziosamente vistasi chiamata in fallimento.
Finalmente si era tolta d’intorno forse per troppi anche nel ricordo.
E
sulla sua effettiva storia che le era capitata intanto svanivano a poco a poco
tutte le piste. Tanto che su cosa fosse accaduto effettivamente, dentro quella
piccola cooperativa, oggi parrebbe anche difficile a potersi raccontare in modo
certo. Non solo per l’influenza del tempo.
Una
storia dunque persa, mi potreste chiedere adesso. E magari, mi potreste anche
chiedere: ma sono solo tue opinioni quel che accadge, o c’è comunque rimasto
qualcosa di certo per vederlo. Ancora adesso?
SI,
C’E’. Qualcosa di certo ancora adesso.
Infatti,
la storia vera della azienda, trovatasi come folgorata a tradimento in quei
tempi, non è andata affatto persa.
L’ha
infatti salvata, definitivamente, la più imprevedibile ragione.
Accadeva
infatti, intanto questo. Così potrete anche vedere che, nel corso della mia
esistenza, non mi sono negato poi davvero molto….
Nel
corso degli sforzi allora messi in atto per salvarci anche come persone, mi
vedevo infatti precipitato artatamente, da intenzionali surrettizie prove
risultate costruite proprio a tal fine da altri in mio danno, in un processo
che non mi apparteneva. E li mi ci ritrovai accanto ad altri forse più
comprensibili convenuti nel giudizio perché risultati contestati, essi, dalla
Guardia di Finanza di pesante evasione in ammanco alla cooperativa su quei
periodi di sopraffazione aziendale del 1991.
Il
mio rinvio che la Guardia di Finanza peraltro non chiedeva, tuttavia, produceva
quello che doveva produrre.
Finivo
disarmato a tempo indeterminato. Non solo perdevo, infatti, così ogni mia
capacità di difendermi e rivalermi eventualmente su chi ne avesse motivo anche
negli altrui processi. Ma restavo – peraltro nella mia più rispettosa fiduciosa
collaborazione – per quattro anni da imputato in un processo che non mi
riguardava.
Nel
98, giungeva la sentenza relativa: assolto il sottoscritto, per non aver
commesso il fatto. Fatto quello che la Corte medesima in sentenza, addebitava
piuttosto, anche esso, assieme a tutto il resto, nominativamente ad altri dei
convenuti pluri imputati in quel medesimo processo.
Sentenza
di assoluzione definitiva quella mia dunque – perché passata in giudicato senza
impugnative dell’Accusa - mentre
condannava altri in primo grado. Oggi, altri magari da tempo riformati di
sentenza o prescritti. Lo ignoro, non essendomene più di loro interessato.
Ma
non è questo di cui stavamo parlando. Quanto piuttosto della sopravvivenza
certa di una storia amara quanto apparsa iniqua. Di aziende e di persone.
Accade infatti che la mia Sentenza di assoluzione, passata in giudicato senza opposizione dell’Accusa , reca tuttavia nel suo corpo – tra le motivazioni della assoluzione stessa – la vera storia della infelice cooperativa di quei mesi.
La
Sentenza n.183/98 al Registro Sentenze del Tribunale di Perugia ha SALVATO
dunque la vera indebita storia della azienda e dei suoi garanti con essa.
Salvata
per sempre, ed efficacemente, presumerei. Perché se la sentenza che mi assolve,
è passata, come è passata in giudicato, allora temo proprio, anche da profano,
che siano passate in giudicato anche le motivazioni della mia assoluzione che
essa reca.
La
storia vera ecco dunque che è salva. Proprio dentro una trappola crudele
smontata in Tribunale dinanzi ad una Corte. Salva dentro le Motivazioni della
sentenza che mi assolve.
Quanto
agli altri allora risultati imputati non me ne importa nulla. Sono stati poi
assolti? Prescritti? Me ne rallegro anche per loro eventualmente. Che grazie a
Iddio, non ho mai nutrito né coltivato rancori allora come adesso.
E i garanti, tra cui ero anche io? Rimasti sotto le macerie. Inagibili al credito personale, in quanto intanto pignorati anche nei propri beni personali. Tanto per dire, ho fatto gli anni del terremoto attivo, e distruttivo allora umbro, con i manifesti giudiziali affissi di vendita della mia abitazione personale di già garante in quella povera cooperativa.
Si
cercò comunque di difendersi, anche il terremoto concorse a offrire un po’ di tempo.
E il
terremoto ci aveva intanto anche portato, come famiglia, in autonoma
sistemazione, in una costruzione che già arrivandoci ci aveva fatto apparire
una possibile destinazione produttiva recettiva di cui poter anche noi tornare
a vivere.
E
così fu, E fu il tempo ancora attuale di Casa Cantico delle Creature. Piccola
struttura prima solo di offerta di alloggio; e poi, anche di ristorazione al
pubblico.
Tutto per il meglio, finalmente?
Non
proprio. Dopo aver già dovuto imparare a convivere quasi con il timore personale
che entrando in banca <scattasse l’allarme>, al solo loro vedere la
sfilza di pignoramenti pendenti di garante di quel tempo, un paio di anni fa,
la mazzata più dura.
Ed
arrivò più o meno come un meteorite giunto dallo spazio esterno.
Che
in una traiettoria perfetta, e in continuazione diretta del percorso iniziale,
maimutato centra ora in pieno un giardino e le persone. Vent’anni dopo il
lancio.
Che
accadde?
Semplice.
Le banche da me garantite per la cooperativa di un tempo apparentemente lontano,
pretesero i corrispettivi al riguardo da me, garante di altri. E così, appena
due anni fa, mi trovai a dover pagare in un lasso irrisorio di tempo, sotto
fatti monitori impellenti, circa 150mila
euro in contanti. Per soddisfare, io garante, le banche aziendali da altri
risultate manomesse e di un tempo.
L’effetto?
La
mia vita economica e finanziaria personale, e dell’azienda individuale attuale,
ne risultò devastata all’istante ed ancora adesso. Dovetti infatti privarmi di
ogni mia liquidità esistente; svendere all’istante anche ogni mio modesto bene
personale. E questo infatti accadde. Lasciandomi, a tutt’ora, in un serissimo,
e dannosissimo vuoto di ogni mia liquidità e che mi pesa e mi fa rischiare per
questo ancora adesso.
Lasciandomi
al momento con la fatica di conquistare ogni giorno l’esistenza. E di che poter
vivere lecitamente. Mentre la crisi depressiva nazionale che veniva intanto
indotta, aggravava ancora di più il tutto. Tanto che per l’insieme delle
circostanze, personali e collettive, a volte, come anche ora, io stesso mi
sorprendo di poter ancora parlare come piccolissima impresa individuale tuttora
esistente.
http://www.movimentopopolaredellavoro.it
Ne
sentivo in effetti il bisogno, di farlo. PERCHE’ MI E’ RIMASTA INTATA LA VOGLIA
DI SENTIRMI MEMBRO ATTIVO DELLA MIA COMUNITA. E DELLA MIA NAZIONE.
Quanto a questa <visita guidata> attraverso la mia piccola vita di italiano come tantissimi altri di noi, ha in effetti preso un po’ di spazio. Più del solito, in effetti.
Ma il fatto è che se intendevo accompagnarmi dentro la mia piccola storia di persona non potevo mancare di toccare dei momenti apparsivi salienti. Né evitare, su di essi, di aiutarvi a comprendere come li abbia vissuti e visti.
E
poi, 64 anni non son pochi da osservare assieme anche se a ritroso….
Ecco,
adesso possiamo dire assieme, in effetti, IO SONO COSI’, fatto dalle mie stesse
esperienze di una vita. Belle e meno belle, ma che non rinnegherei in nessuna
di esse.
Se
il percorso di personale trasparenza vi è risultato oltre che utile, gradito
GRAZIE
In
una prossima occasione proverò anche a mettere a parte chi acceda, da quali
riflessioni e considerazioni sia giunto personalmente a Movimento Personale del
Lavoro ed alla sua proposta che ne è stata adesso offerta e così messa a
disposizione.
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